10 – Una definizione del
Morse
La lingua Morse, grazie alla sua intrinseca essenza di “codice”, passa in
genere come quella che meglio di ogni altra si presta ad essere “capita”, cioè
decodificata, dalle macchine. Questo è vero, con la riserva però che non tutto il contenuto, diciamo, “semantico”
e “prosodico” del segnale (fonico o
radiofonico) può essere recuperato e convertito in caratteri alfanumerici
e, soprattutto, non sempre perché, per esempio in condizioni di perturbazioni
atmosferiche, ci possono essere dei casi in cui il segnale è talmente “sporco”,
o annegato nel rumore, che le macchine falliscono la decodifica mentre gli
operatori umani no.
Dal diagramma di
flusso qui riportato e relativo a un decodificatore Morse pubblicato nella rivista tecnica Elektor n. 54, nov. 1983 (edizione italiana), si può evincere (o
semplicemente intuire) che il computer può “decifrare” punti e linee soltanto
in base a delle tolleranze temporali
preimpostate. Ma tutti gli esperti del ramo concordano nell’assegnare la palma
della vittoria, nel confronto macchina/uomo, a quest’ultimo.
Questa definizione del Morse, che trascrivo testualmente da
detta rivista (p. 46), dovrebbe
illuminare sui misteri del Morse o far almeno riflettere qualche superstite
lettore ancora fermo al “Morse dei boy
scout”:
“Il linguaggio parlato è un codice composto da suoni, che
descrive la realtà. Il
linguaggio scritto è la codifica grafica del linguaggio parlato… ed il Morse è
una codifica udibile del linguaggio scritto. Per non parlare del Morse scritto,
che è una codifica grafica di un codice udibile… e così via. In breve si tratta
di un fatto mentale che viene devoluto sempre più alle macchine”.
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