GV 31 – La “postfazione” di Tega (19.8.2008)
Rompendo gli indugi, protrattisi anche troppo (quasi 8 mesi), metto oggi integralmente
in rete, nella sezione Atomi
del sito, il mio saggio su Beccaria (AG 25). In
calce a questa News, per invogliare
alla sua lettura, ne incollo il primo e più importante capitolo, avvertendo
che, per motivi tecnici che mi sfuggono e per i quali mi scuso, mancano le numerose
note al testo. Gli interessati però, con qualche clic supplementare, possono ritrovarle sia nella citata edizione on line, sia in quella cartacea (in formato Word), egualmente e
liberamente disponibile in rete.
Con l’occasione metto a disposizione degli
studiosi, nella sezione Fonti dello
stesso sito, i due testi di difficilissima reperibilità e assolutamente
propedeutici, anzi indispensabili alla proficua lettura, ampiamente citati nel
testo (vedi FO 40, FO 41 e soprattutto BE 5, Omaggio
a Gliozzi e Gherardi).
L’immagine vuole essere solo un discretissimo
promemoria per il Prof.
1 – L’abate Patuzzi
e l’edizione postuma dei libri di Beccaria
(N. B. – La numerazione delle figure si
riferisce all’edizione cartacea)
Nella biblioteca universitaria di Bologna
sono conservate due copie dell’edizione maceratese delle opere di Giambattista
Beccaria (1716-1781),
l’indiscusso padre, non foss’altro per motivi anagrafici, della scienza
elettrica in Italia. Queste due copie, entrambe in due volumi, collocate
rispettivamente con le segnature A.IV.I.V.4/1-2 e A.V.Z.III.27/1-2,
pur essendo identiche, hanno i frontespizi, riportati rispettivamente in Fig.
5 e Fig. 6, del tutto diversi, a cominciare dalla data (1793
e 1794). Poiché la predetta edizione beccariana maceratese è
conosciuta e accreditata con la data del 1793 (foto a sinistra)
si potrebbe essere indotti a considerare l’altra del 1794 (foto a
destra) come “apocrifa”. La questione però è più complessa ed ha
implicazioni scientifiche, come ben intuito da Mario Gliozzi e soprattutto da Silvestro Gherardi, che travalicano il ristretto ambito
filologico nel quale può essere stato o potrebbe essere comodo liquidarla.
Un’altra stranezza è che nel secondo tomo della
copia del 1794 ricompare la data “normale” del 1793,
mentre l’anomalia più grande, quella che ha messo in allarme il Gherardi,
è che tutti i secondi volumi di questa edizione maceratese, pur portando
nel frontespizio e nei visti della censura la data del 1793, contengono
alcune lettere datate
Prima però di cominciare a sbrogliare questa
complicata matassa è bene dichiarare l’utilità di questa improba fatica.
L’edizione maceratese di cui ci occupiamo, anche se è l’opera di Beccaria
più nota e più diffusa nelle
biblioteche, non è stata scritta da lui, da molti anni morto e dimenticato.
Poiché nel frontespizio non compare nessun nome di curatore o “editore”
questo libro, in tutte le biblioteche in cui è finito, è stato registrato come
opera di Beccaria tout court e l’equivoco probabilmente si è
radicato anche in quei pochi distratti lettori che lo hanno avuto per le mani. Questo malinteso potrebbe essere
trascurabile e senza conseguenze se l’edizione in oggetto fosse
sufficientemente “curata”, come in genere lo sono i libri licenziati dal
Beccaria, invece purtroppo si tratta di un libro abborracciato, che
affastellando i testi del Beccaria, in se pregevolissimi, con sciatti
scritti altrui e soprattutto con troppa licenza, involontariamente li dequalifica. La “sfortuna” di Beccaria
non si può certo far dipendere solo dalle pecche editoriali dell’edizione
maceratese, ma queste senza dubbio hanno avuto il loro peso nella più che
bisecolare emarginazione del Nostro.
Beccaria infatti, come dicevamo, fu abbandonato
immediatamente, e del tutto “sepolto”, già dopo la sua morte,
principalmente per mancanza di amici veri e per l’ingratitudine dei suoi
discepoli. “Ad onta dei suoi
meriti e dell’alta reputazione in cui visse, generalmente non fu amato né dai
suoi colleghi, né dai suoi confratelli, né dai suoi concittadini”. Queste
parole, tratte dall’Elogio anonimo riportato, o per meglio dire “riesumato”
in quest’Atomo (vedi p. 16), sono dell’unico confratello e discepolo (ma indiretto) che
gli fu fedele, l’abate Lodovico Patuzzi. E fu proprio questo Patuzzi, come
romanzescamente scoperto da Gherardi, cit., l’invisibile editore
e regista di questa ambigua e sgangherata edizione maceratese. Le sue
intenzioni – ristampare e propagare, dopo una dozzina d’anni dalla morte, gli
esauriti testi di Beccaria – furono lodevolissime, ma incontrò ostacoli
enormi – lievitazione dei costi di stampa, annosi ritardi, tirature
scoordinate, e probabilmente indifferenza se non ostracismo nelle Istituzioni,
comprese le religiose, che avrebbero dovuto appoggiare l’iniziativa. Il
risultato fu deludente, e forse anche, come detto, controproducente.
Per conoscere meglio la storia quasi romanzesca, come già accennato, di questa Edizione
maceratese delle opere di Beccaria – d’ora in avanti la chiameremo
anche Edizione Patuzzi o Edizione postuma – si può leggere il foglio
manoscritto, qui riprodotto (Fig. 7), che accompagna la copia conservata
nella biblioteca del Liceo Beccaria di Mondovì (la città
natale di Giambattista Beccaria), copia donata, nel 1909,
dall’ufficiale del Genio Antonio Botto, uno dei pochissimi seguaci ed
estimatori del grande monregalese. È in questo solo documento, per quello che mi consta, che tornano i nomi di Patuzzi
e di Gherardi.
Seguendo le preziose indicazioni del Botto
passiamo alla biblioteca universitaria di Torino e consultiamo la copia
di [Beccaria 1793], cioè
Considerato il ristretto tema di questo Atomo
non dirò nulla dei due Elettricismi, artificiale e naturale, e delle
lettere al Beccari mischiati in questa Edizione postuma. Spero di
aver occasione, e forza, per
illustrare il “mortaio” e il “pozzo” elettrico, il “fiocco” e la “stelletta”, l’infinita “capacità”
del suolo, l’“atmosfera elettrica”, il vero, semplice significato
della teoria frankliniana (unico fluido o “vapore” elettrico) e
delle concorrenti (due fluidi, vitreo e resinoso) nollettiane,
barlettiane, symmeriane – nonché “voltiane”, perché il noto patrizio
comasco, checché se ne dica, non fu mai frankliniano convinto,
preferendo tenere, secondo il suo stile, il piede in due staffe.
Dirò però qualcosa, spero di definitivo,
sull’autore del famoso Elogio anonimo. Gherardi, seguendo l’attribuzione corrente, pensa sia Angelo
Fabroni, l’editore del Giornale dei Letterati (di Pisa) e dei
monumentali Elogi di uomini illustri; il Pace, che nel secolo scorso si è occupato a fondo del Nostro compulsando, a Filadelfia,
le carte di Franklin, l’attribuisce a Bartolomeo Bianucci, un
battagliero galileiano di cui non ho potuto trovare alcuna traccia; il Tega, a cui dobbiamo la
bibliografia più esaustiva su Beccaria, è convinto che l’autore sia il
conte Prospero Balbo, colui che insieme ai due Eandi, raccolse
eredità e lasciti del suo maestro; infine il Berra, che nel secolo scorso ha dato un
altro strappo al velo di omertà su Beccaria che già il Claretta aveva
cercato di squarciare, opta, sia pure esitando, ancora per Fabroni.
Dell’Elogio anonimo esistono tre redazioni:
la prima, nel Giornale dei Letterati, Tomo L, 1783; la seconda
negli Elogj di uomini illustri, Tomo II, 1789; la terza in [Beccaria 1793]. Escludo che l’autore sia Fabroni, perché questo
dotto, che non ebbe frequentazione con Beccaria, fu solo il curatore
delle due raccolte citate, mentre l’ipotesi del ventenne Balbo non regge
non foss’altro perché nella prima redazione l’autore dice che aveva “notizia
sicura” che del Beccaria si stava approntando la completa
pubblicazione delle opere inedite. Ora, poiché questo compito, come si sa, era
stato affidato proprio a Prospero Balbo, è impossibile che questi
attribuisca ad altri una cosa che invece sarebbe stata di sua pertinenza.
No, l’autore doveva essere un tecnico e,
soprattutto, un confratello del Nostro: troppi dettagli tradiscono la
sua competenza delle cose elettriche e delle regole scolopiche. Dopo aver scartato
le ipotesi dello scolopio Barletti, dell’abate Canonica (braccio
destro di Beccaria a Torino), di Canovai e infine di Caetani, non restava che il solo Patuzzi.
La consultazione di due noti repertori scolopici, [Picanyol 1952] e [Vilà
Pala e Bandrés Rey 1983] me
ne ha data la più luminosa conferma.
Dunque Lodovico Patuzzi oltre ad essere
stato, nel 1793/94, il curatore, anzi il “procuratore”
dell’edizione postuma degli Elettricismi di Beccaria, era stato
anche, una dozzina d’anni prima, il riservatissimo autore del suo Elogio
funebre. Tanta devozione si può ripetere, credo, dalla “predisposizione”
scolopica alle applicazioni scientifiche – penso a Barletti, Cecchi,
Serpieri, Baccelli, Ximenes, Barsanti, Gaudio, ecc., per non risalire agli
ancora meno noti scolopi galileiani Famiano Michelini e Clemente
Settimi – e dalla “presa”
che le dottrine elettriche di Franklin, sviluppate, illustrate e
perfezionate da Beccaria, avevano sicuramente fatto sul giovane Lodovico
sin dai suoi anni giovanili. Ha visto quindi giusto il Gherardi ad onorare il Patuzzi
come il maggior interprete di Galvani, almeno circa il fenomeno delle
contrazioni della rana all’interruzione del circuito. Per parte mia l’abate Lodovico Patuzzi può essere
considerato quasi un “profeta” del Beccaria o un “vindicatore” di colui che legò il suo nome, più che
ad ogni altra cosa, alla famigerata “elettricità vindice”.
Possiamo ora, per concludere questa rapidissima
esegesi, spiegare il mistero della edizione maceratese “apocrifa” (Fig.
6), quella del 1794 che, fidandoci sempre di Gherardi, a
cavallo tra Settecento e Ottocento circolò molto, almeno a Bologna, tanto da finire anche nella
biblioteca universitaria di quella città. Si trattò solo di una semplice operazione di “marketing”.
A causa delle accennate vicissitudini editoriali – l’“ingordigia” dei
tipografi (di Ancona prima e poi di Macerata), le superfetazioni
in corso d’opera, forse la forzata rinuncia alla stampa delle tavole, ecc.
– gli editori si saranno ritrovate
molte copie invendute del primo volume perchè “scompagnate” del secondo,
di cui, per difficoltà economiche, saranno forse state tirate minor copie.
Così, per svendere queste giacenze di magazzino fecero sparire
vai a GALVANI
NEWS