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3 – La pila perpetua Zamboni (18.4.2008)
In un libro di S. P. Thompson del
Alla stessa epoca risale una “macchina” egualmente meravigliosa, per
non dire “inquietante”, l’orologio
perpetuo (foto al centro e disegno della collezione
Beltrame a destra) dell’abate Giuseppe
Zamboni (1776-1846), tuttora in
funzione, pare, a Verona, grazie alla miracolosa “pila Zamboni” (foto a
sinistra).
I “motori
perpetui” dunque sono più diffusi di quanto si potrebbe credere (si veda su internet) e anche, come nei
due casi citati (o nell’elettroscopio di
Bohnemberger, nelle “pile telluriche”, ecc.), con pedigree scientifici di tutto rispetto!
Lo Zamboni,
nella sua dissertazione del 1812,
spiega che la sua pila differiva da quelle di Volta (sia a colonna che a
tazze) solo nel fatto che queste erano “ad
umido”, mentre la sua era “a secco”.
Era formata da migliaia di dischi di carta stagnola, smaltati, da una sola
faccia, con un altrettanto sottile strato di biossido di manganese, e impilati
in una canna di vetro. La carta benché asciutta, conserverebbe tenacemente
un’umidità insensibile, necessaria e sufficiente, per condurre il “fluido elettrico” (p. 18), esattamente come sancito dalla lodatissima teoria voltiana.
Male che vada, conclude Zamboni, può
funzionare egregiamente da igrometro
(p. 24).
Non ho visto, né tanto meno “smontato” (ho spesso ripetuto
che mi fido solo dell’esperienza), l’orologio di Zamboni. Presumo che le due “pilette”
siano elettrizzate eteronomamente (una
inversa dell’altra), che il sistema oscillante abbia un momento di inerzia
minimo, che ad ogni attrazione del “bilanciere”
la relativa pila vada in “cortocircuito”
(ricaricandosi automaticamente subito
dopo) grazie ai due contatti ben visibili in testa alle due colonnette, che
il sistema sia dotato di buona terra (
Di sicuro questi orologi (o campanelli, motori, ecc.) non possono essere precisi, affidabili
e, ancor meno, sviluppare “potenza”,
dipendendo troppo, anzi unicamente, dai capricci meteo, dalle variazioni
stagionali, da incontrollabili sia pur sporadici fenomeni di adesione (sticking), dalle condizioni ambientali,
ecc.
La pila a secco diede (e forse continua a dare) linfa ai sostenitori della teoria voltiana
del contatto. Gli oppositori invece, invocando giustissimamente il principio
della conservazione dell’energia, ribattevano che se gli effetti dipendessero
dal semplice contatto di due metalli eterogenei, senza dispendio o consumo di
niente, si sarebbe avuta la pietra filosofale degli alchimisti!
La pila a secco, per concludere, si può definire
l’archetipo di “pila elettrostatica”.
Vedremo però,
forse con sorpresa di qualcuno, che sarà in buona compagnia.
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