Un giornale “libertario” di fine ottocento
di Pier Carlo
Masini (pubblicato in L’Esopo, 1982) – vedi MA 21
Questo giornale, “Gli atomi”, composto e impaginato con
un’austerità grafica che lo fa diverso da tante infiocchettate riviste giovanili
del tempo, un giornale tutto d’idee, alieno dal chiasso delle propagande, delle
mode, della goliardia letteraria, è un unicum nella pubblicistica
politica dopo l’unità d’Italia.
Uscì a Palermo dal 3 gennaio (a. I, n. 1) al 17 giugno 1875 (a. I, n. 11). A partire dal n. 3 del 17 gennaio prese il sottotitolo di
“periodico settimanale”, mutato in quello di “periodico quindicinale” a partire
dal n. 7 del 18 marzo. Il primo numero venne stampato presso la Stamperia G.
Lorsnaider e tutti gli altri presso la Tipografia Sebastiano Chillemi. Gerente
responsabile fu dall’inizio alla fine delle pubblicazioni Salvatore Landolina.
Il giornale uscì sempre nel medesimo formato (cm 21 x 30) e nel medesimo numero di pagine (8), senza illustrazioni. Una
collezione del periodico è conservata presso la Biblioteca Nazionale di
Firenze.
È un giornale rivoluzionario, materialista, umanitario; appartiene
in senso lato alla stampa dell’Internazionale (come si rileva dal notiziario
sul “movimento operaio” nel n. del 18 marzo 1875) ma, per il livello dei contenuti, la dignità della forma,
l’interesse verso i problemi filosofici e scientifici, l’originalità delle
motivazioni intellettuali, l’apertura verso il contemporaneo pensiero europeo,
si colloca su un piano particolare, distinto da quello consueto dei fogli
d’opposizione anche estrema e del minuto giornalismo sociale. È anarchico –
come risulta da reiterate professioni – ma di un anarchismo speciale, colto,
affinato, armato più di critica che di invettive.
Gia il titolo, così inusitato e moderno, è un programma e viene
spiegato nell’editoriale del primo numero: cioè l’atomo come punto d’arrivo che
il pensiero degli uomini ha compiuto dalla conoscenza del grande alla scoperta
dell’infinitamente piccolo. E nel campo sociale l’infinitamente piccolo, unico
e irriducibile, è l’individuo, la monade uomo.
Gli atomi sono i nuovi “dei” che sostituiscono con il loro
pluralismo il Dio autocrate della Bibbia e di Dante. “Noi siamo in loro, in
loro viviamo, in loro ci muoviamo… Essi sono il mondo invisibile, che la
coscienza di tutti i popoli ha dato per sustrato al mondo visibile: essi si
tessono una veste di luce, e l’universo è librato sul vortice delle loro danze…
Gli atomi sono al dì d’oggi il postulato e la formula ultima di tutte le
scienze”.
Questa rivoluzione opera nella fisica, nella chimica, nella
biologia, nell’antropologia, nella psicologia, nella critica storica e infine
nella politica dove la “tendenza al decentramento nel comune sostituito alla
nazione, il libero cambio di Cobden e l’anarchia di Proudhon, quantunque usciti
da scuole sì eterodosse fra loro, convengono entrambi nell’affermazione della
sovranità dell’individuo: ciò è atomismo”. E poco più avanti: “un’apoteosì
dell’individuo, una negazione completa e una maledizione infrenabile
dell’autorità: questo è il soffio d’idee a cui si piegano, coscienti o no, gli
uomini del secolo decimonono”.
Il fondamento invocato a questa concezione è quello materiale o
naturale: “La natura come la concepiamo noi è un sistema di forze anarchiche,
il cui armonico prodotto non è una finalità predestinata, ma un effetto di
necessità intime… Il sistema della natura è, al dire di Feuerbach,
essenzialmente democratico: in esso ciascuna forza si svolge indipendentemente
nella propria sfera senza essere subordinata alle altre e senza turbarle; ed io
credo che dovremmo dividere la natura in repubbliche anziché in regni…”.
Dunque anarchici, ma anarchici che non si contentano delle formule
razionaliste e positiviste ed inclinano piuttosto allo scetticismo come
filosofia della distruzione, cioè della rivoluzione più radicale (non Stefanoni
dunque, con cui polemizzano, ma Ferrari che citano molto spesso). Alle
metafisiche vecchie e nuove oppongono il principio di contraddizione,
l’antagonismo come insostituibile motore del divenire sociale. Gli atomisti
annunciano: “La negazione! ecco il nostro metodo, i nostri principi e la nostra
conclusione! Il nostro campo è l’assurdo, il nostro stile è il paradosso, la
nostra concezione è il niente! Questo scetticismo si estende alla filosofia,
alla religione, alla politica: il vecchio ideale umano è cacciato da ogni suo
angolo…”.
Il discorso a questo punto finirebbe in un nihilismo senza
prospettive se, grazie all’intervento del principio di contraddizione, “questo
refrattario, questo eterno ribelle che è l’ideale, incenerito dal cervello, non
sprizzasse nuova fiamma dal cuore degli uomini, ad alimentare la speranza e
quindi l’azione”.
“Il nostro scetticismo, più vasto e più profondo di quello di
Gorgia e di Sesto Empirico, di Luciano e di Voltaire, questo scetticismo totale
e inesorabile, non può a meno di minare le basi del vecchio mondo, non può a
meno di preparare la strada all’idea socialista ed emancipatrice” (Cos’è la metafisica nel n. del
17 febbraio 1875).
Le basi del vecchio mondo su cui si abbatte il piccone degli
atomisti sono la famiglia, la religione, lo Stato. Per la famiglia essi
rifiutano tanto l’etica repressiva del cristianesimo che l’ingerenza tutoria e
regolatrice dello Stato borghese. “Sovra quale legge vorremmo noi che si
stabilisse la famiglia? Sovra nessuna…L’interferenza dello Stato nella famiglia
quando non è nocevole, è superflua o impotente. Perché dunque comandate? Nolite
imperare”. Senza aderire
alla proposta di Fourier sulla comunità dei sessi, giudicata come una reazione
“esagerata” anche se spiegabile alla morale tradizionale, essi oppongono alla
religione e al diritto, invasori della famiglia naturale, il libero amore. È la
prima volta che la formula appare, così argomentata, nel dibattito pubblico in
Italia.
Sulla religione gli atomisti rilevano anzitutto il conflitto fra
cristianesimo ed economia politica, intendendo con questa formula la libertà
economica e la rivoluzione industriale, un conflitto insanabile perché
“l’orrore dell’antagonismo e il sacrificio dell’individualità sono alla base
della morale cristiana. Ma ecco che arriva il socialismo che nega cristianesimo
ed economia politica, sorpassandoli e sintetizzandoli”.
“Il cristianesimo può oggimai andarsene, perché è nato il suo
successore: l’ideale può abbandonare il cielo per venire ad abitare sulla
terra. La critica, secondo la bella espressione di Carlo Marx, ha strappato e
dispersi uno ad uno tutti que’ bei fiori immaginari onde l’uomo religioso aveva
adornate le sue catene: egli oggimai li dee gettar via per cogliere il fiore
vivente”.
Siamo nella prima metà del 1875 ed è questa una delle prime
citazioni di Marx in Italia. Il nome echeggia a Palermo dove già per merito di
due economisti, docenti a quella
università, Giuseppe Di Menza e Vito Cusumano, le idee di Marx erano
sommariamente conosciute, certo più e meglio che in altri centri, pur
prestigiosi, della cultura scientifica e universitaria italiana. Proprio di due
conferenze del Cusumano su “La questione sociale in Europa”, dove sono ancora
richiamati i nomi di Marx, Bakunin e Lassalle, dà notizie e commenti il numero
de “Gli atomi” del 22 aprile 1875.
Infine lo Stato. Su questo punto l’anarchismo degli atomisti è
consapevole e dichiarato. Per loro l’anarchia
altro non è che la traduzione nuova della libertà, parola logorata da troppi equivoci e abusi: “L’ideale
del governo non è dunque la monarchia né la repubblica; è l’anarchia, cioè
l’assenza di ogni governo. Questa parola è divenuta formidabile in bocca dei
socialisti… Anarchia è un proclama e un programma; negazione di ogni autorità e
di ogni gerarchia; è la macchina da guerra contro la vecchia società e
l’impalcatura della nuova…”.
Ma di questa anarchia gli atomisti hanno una concezione non dogmatica
né assoluta, bensì relativa e pratica: “Una perfetta anarchia non potrà mai
completamente stabilirsi: ciò è fuori dubbio. Il male non può che ridursi:
Ormuzd guadagnerà sempre terreno, ma correrà sino alla fine i bordi del mondo
morale, come il bandito la sierra che preclude l’orizzonte spagnolo”.
In economia “Gli atomi”, come abbiamo visto, si dichiarano per il
socialismo, e contro il comunismo, parola che allora definiva sistemi fondati
sulla comunione dei beni ma anche sulla supremazia dello Stato e su una
organizzazione autoritaria della società. “Il comunismo, scrive il giornale, è
l’utopia del senso comune. Alla exploitation dell’uomo per l’uomo esso vuole sostituire l’exploitation dell’uomo per
la società. I sistemi comunisti, che sono le forme preistoriche dello Stato,
sopravvivono nelle nostre società come gli organi rudimentari dei nostri corpi:
e sarebbe nell’interesse del socialismo… che queste viete teorie venissero ben
presto depositate nella gerla dei ferrivecchi della politica”.
La diffida al comunismo viene da Proudhon, mentre viene da
Saint-Simon la fede nell’industria e nella tecnica, come incentivi di libertà o
di liberazione: “La tendenza dell’umanità è con la maggiore evidenza verso
l’anarchia: basterebbe il solo sviluppo della industria per liberarla
dall’involucro dei suoi governi. Questo sviluppo non è solo benemerito della
libertà, in quanto allarga il cerchio dell’attività umana; ma perché anche ogni
progresso nell’industria chiama seco un regresso nello Stato, non potendo le funzioni
politiche esercitarsi che a scapito delle funzioni economiche. Ogni invenzione
rompe un anello della vecchia catena; e i veri eroi della libertà, più che
Bruto e Cassio, sono Arwigt e Stephenson, due pacifici operai, che si
occupavano pochissimo di politica».
Evoluzionista e non rivoluzionario, pacifico e non violento il
programma de “Gli atomi”? Non direi, anche se aborre dalla violenza gratuita e
selvaggia. Illuminante a questo proposito l’editoriale pubblicato sul numero
del 18 marzo 1875, una delle più
commosse e al tempo stesso delle più meditate apologie della Comune di Parigi,
nel quarto anno della sua proclamazione.
“La Comune è il Sinai del popolo. Giammai gli uomini furono tanto
vicini all’ideale. L’umanità a Parigi si slanciò nell’assoluto; furono faccia a
faccia; veramente quegli uomini dovevano essere alla vigilia di morire. Sul
Sinai la legge si rivelò ad una casta tra tuoni e lampi: nella Comune si rivelò
al genere umano, e il suo aspetto non fu meno formidabile”.
Della Comune “Gli atomi” accolgono il messaggio internazionalista e
umanitario: “Parigi faceva appello a tutti i diseredati; la campana
dell’emancipazione suonava per tutti. Era la prima volta che l’Umanità si
affermava solennemente in un fatto politico”.
Rivoluzionari e innovatori in politica, gli atomisti non lo Sono
meno nelle lettere e nelle scienze. Sul numero del 17 febbraio 1875 appare
sotto il titolo Lo stile moderno
un editoriale che è un ardito atto d’accusa contro la cultura ufficiale
ed accademica dei Mamiami, Fornari e Conti in filosofia, dei Fanfani, Zambrini
e Ranalli in filologia, alla ricerca di nuove espressioni artistiche, fuori
“dalle eunuche disquisizioni e dalle vuotaggini de’ linguai e de’ pedanti”. I
giovani redattori si sentono molto vicini a Carducci di cui pubblicano lo
scritto Del rinnovamento letterario in Italia (n. del 1 aprile
1875) e ne prendono le difese
contro le critiche dello Zendrini e del Guerzoni, augurandosi che “sul suo
sauro destriero e con le armi fabbricate nell’Olimpo dei greci guiderà le
legioni rivoluzionarie alla conquista dell’avvenire sociale”. Era questo il
presagio e questa l’attesa dei primi nuclei socialisti e anarchici, prima che
il poeta di lì a poco li deludesse con la sua conversione politica.
Attenti a tutta la cultura europea, “Gli atomi” ripetono spesso
nomi che localizzano esattamente la loro posizione ideale nel grande movimento
della intelligenza laica e democratica più avanzata: Heine e Hugo, Quinet e
Michelet, Strauss e Stuart Mill. In campo scientifico la rivista si qualifica
con ampie e aggiornate informazioni. Vi si discute intorno all’evoluzionismo di
Darwin e di Spencer, all’antropologia di Haeckel e di Huxley, alla ricerca sul
linguaggio di Max Müller, alla geologia di Lyell, alla fisiopsicologia di
Wundt, alla zoologia di C. Vogt, e, per l’Italia, agli studi di Gaetano Trezza
e di Paolo Mantegazza. Non è assolutamente dato di trovare qualcosa di comparabile nelle riviste giovanili e
d’avanguardia del tempo. Si tratta di un caso straordinario su cui bisogna ora
soffermarci.
Dietro la rivista sta infatti un caso umano e personale, quello di
un giovane siciliano che ne fu probabilmente l’esclusivo redattore, almeno per
gli articoli non firmati. Questo giovane si chiamava Gabriele Buccola ed invano
cerchereste il suo nome nei dizionari e nelle enciclopedie, fin’anche nel Dizionario
biografico degli italiani di
cui sono usciti in questi anni i primi informatissimi volumi.
Il Buccola nacque a Mezzojuso, in provincia di Palermo, il 24 febbraio 1854 da famiglia agiata
di remota origine albanese. Dopo aver frequentato il seminario greco di Palermo
(a dodici anni già traduceva da Anacreonte e scriveva in latino), si iscrisse
alla facoltà di medicina dell’Università di Palermo, pur continuando a
coltivare gli studi letterari e filosofici. Questa formazione umanistica “gli
giovò per l’arte di scrivere italianamente nella quale emerse su tutti i
contemporanei scrittori i medicina e di scienze naturali”, come scriverà il suo
collega Seppilli.
Era frattanto entrato in corrispondenza con scrittori già affermati
come il Carducci che a lui, appena diciassettenne, scriveva nel 1871 una
lettera molto confidenziale per apprezzarne le sensibilità di critico. Nel 1873
fondava e dirigeva “Gli atomi” e successivamente un altro giornale dal titolo
“Pensiero e azione” (1878). Nel 1879, laureatosi in medicina, si orieiverso lo
studio della psichiatria e pubblicava il suo primo impegnativo lavoro
scientifico su La dottrina dell’eredità e i fenomeni psicologici. Iniziava contemporaneamente la sua
attività di medico presso il manicomio di Reggio Emilia, ritenuto il più
avanzato d’Italia, e successivamente presso quello di Torino, città in cui
definitivamente si stabilì. A Reggio Emilia aveva collaborato alla locale
“Rivista di freniatria e medicina legale” fondata dal Livi e a Torino alla
“Rivista di filosofia scientifica”, la maggiore rassegna del positivismo
italiano, fondata da Enrico Morselli, di cui il Buccola era stretto
collaboratore anche in campo professionale.
Nel 1883 otteneva per voto unanime della facoltà medica la libera
docenza in psicologia patologica e psichiatria. Nell’aprile 1884, su
sollecitazione del prof. Kraepelin, si recava presso la Clinica psichiatrica
dell’Università di Monaco, diretta dal Gudden, per seguirne le ricerche
scientifiche e di laboratorio. Queste esperienze le interruppe quando
nell’autunno di quello stesso anno egli venne colpito da una grave malattia
(leucocitemia mielogena) che in poco tempo lo condusse a immatura morte,
avvenuta a Torino il 5 marzo 1885, all’età di trentun anni.
La sua scomparsa fu considerata una grossa perdita per la scienza
italiana. “Sommo psico-fisico” lo definì il Lombroso; “uno dei più originali e
geniali psicologi d’Italia” il Mantegazza; “il primo psicologo in Italia”,
secondo Sante De Sanctis. E per universale riconoscimento venne considerato “il
fondatore della psicologia sperimentale in Italia”, com’è scritto sulla lapide
apposta sulla casa dove nacque a Mezzojuso.
Il suo contributo principale fu appunto questo: di aver fatto fare
alla psicologia un passo importante e decisivo, dal campo della logica, dove
fino ad allora era stata confinata dai filosofi, al campo della sperimentazione
scientifica e di laboratorio. Su questo argomento egli scrisse una limpida
pagina nel libro che abbiamo sopra citato, confermando un indirizzo del proprio
pensiero, antidogmatico e positivo, già riscontrato sulle colonne de “Gli
atomi”.