Gabriele Buccola – Le
illusioni della memoria
Rivista
di Filosofia Scientifica, 1882-83 [n.187
della bibliografia buccoliana]
Ha carattere di Rassegna
ed è stato scritto dopo la
pubblicazione de La legge del tempo nei fenomeni del
pensiero.
I
La memoria, che dobbiamo figurarci
come una proprietà dei centri nervosi, anzi di ogni
sostanza vivente, va soggetta, nel dominio psichico, ad alcune alterazioni, che
gli alienisti in ispecial modo hanno esaminato con
accuratezza di analisi.
Tra i fenomeni morbosi della memoria,
la quale per analogia con i sensi esteriori rappresenta una specie di senso interno o meglio di visione nel tempo, sono degni di
studio quelli cui oggi, seguendo l’esempio del Sander, si dà il titolo di “illusioni”. Come vi sono errori
percettivi, che chiamiamo illusioni ed allucinazioni,
così vi sono anche errori mnemonici.
I fenomeni interessantissimi di illusioni della memoria furono illustrati, a quanto io
sappia, la prima volta dal Jensen, il quale sopra alcuni malati di mente cercò di
spiegare perché avviene non di raro che si svegli in noi, solo per breve tempo,
un ricordo confuso di aver veduto quel tale oggetto o quel tal uomo come nel
momento attuale [rif.]. Noi ci
rammentiamo, ad esempio, che il nostro amico occupava quel posto, teneva le
mani in quel dato modo, aveva quell’atteggiamento,
pronunziava le stesse parole. Anzi si giunge al punto che
abbiamo la convinzione di prevedere ciò che il nostro amico dirà e ciò che noi
risponderemo. Quindi sparisce tutto a un tratto
questa specie di visione, e noi torniamo a vivere nel presente.
La spiegazione proposta sarebbe
facile in apparenza.
Si pensi, dice il
Jensen, che
gli emisferi cerebrali costituiscono un organo doppio, in cui hanno sede le
energie psichiche più alte (percezioni e rappresentazioni), e che uno dei due
emisferi può in gran parte mancare senza indurre grave nocumento al meccanismo
funzionale dell’organo intiero. Ciò importa che gli emisferi del cervello, in
modo analogo ai nostri duplici organi di senso, le orecchie e gli occhi,
funzionano nello stesso tempo da organo doppio ed unico: onde se nell’occhio si
formano due imagini, anche nel cervello si producono due percezioni, le quali però nelle condizioni normali si fondono in una sola e
dànno unica imagine mentale. Ma se mutano le
circostanze ordinarie e le due metà del cervello non adempiono
al loro ufficio armonicamente, dello stesso modo come quando nei nostri
organi della vista si spostano gli assi nel guardar di traverso, allora in un
caso abbiamo una doppia percezione, e nell’altro una doppia imagine visiva. E che avverrà quindi della doppia percezione? Se proiettiamo le due imagini visuali nello spazio, l’una
vicina all’altra, non è possibile che siano proiettate nel tempo, l’una dopo
l’altra, le due percezioni?
Ricordiamoci dei rapporti psicologici
abituali che succedono in un semplice processo percettivo.
Appena l’impressione di un oggetto (il Jensen
qui dice una “percezione”) entra nel
campo della coscienza, si sveglia una rappresentazione analoga, e dal loro
confronto risulta il riconoscimento dell’oggetto percepito. Io guardo, ad
esempio, un oggetto dalla finestra e lo chiamo albero. Perché?
Nella mia memoria si conserva il concetto rappresentativo (Begriffsvorstellung)
di “un albero”, e nel percepire ora
realmente il fenomeno esterno quel concetto rappresentativo si riproduce, e dal
suo paragone con la percezione attuale deduco il giudizio: questo
oggetto è un albero. Ma se del medesimo oggetto
si formano nella coscienza due percezioni, di cui forse l’una è più pallida
dell’altra, potrebbe avvenire che la percezione più debole si scambiasse con
un’imagine riprodotta, ed in tal caso ci stupiremmo della strana conformità di
quella percezione e di questa supposta imagine. E se nel momento in cui guardo
dalla finestra succede nella mia coscienza una doppia percezione dell’oggetto
esterno, non giudico come prima: questo è un “albero”, una “casa”, ecc., ecc., ma questo è l’“albero”, questo è la
“casa”, che io devo aver veduto una volta, poiché l’impressione percepita
concorda fin nei più piccoli particolari con l’imagine riprodotta.
Casi consimili a quelli del Jensen,
che non valgono la pena di essere rilevati, pubblicò il Wiedemeister [rif.]: anzi sotto un titolo del tutto
erroneo, che già prima ed opportunamente fu introdotto dal Jessen a designare un altro stato
patologico interessantissimo e assai dissimile [rif.].
Prima ancora del Wiedemeister ed anche dopo ne trattò l’Huppert, il quale pare non abbia
compreso il vero significato del fenomeno psichico, di cui parliamo. Egli infatti sotto il nome di “doppia percezione” (Doppelwahrnehmung), che fu proposto dal Jensen, narra storie di pazzi
illusi ed allucinati che sentono pronunziare prima o ripetere i loro pensieri [rif.].
Chi ha studiato meglio il problema ed
ha proposto, a dir vero, la denominazione più esatta è il Sander [rif.]; e, dietro il suo esempio, per quanto io sappia,
altri riferirono nuovi fatti di illusioni della memoria, come lo Eyselein, il Pick e l’Anjel, e quest’ultimo
anzi ne cercò l’interpretazione [rif.].
Lo stesso Jensen,
dopo che venne alla luce lo studio del Sander, ritornò sull’argomento e intese con l’esposizione di
un altro caso confermare la sua ipotesi sulle percezioni doppie [rif.].
Uno degli autori or ora ricordati, l’Anjel, crede che
il fenomeno della illusione della memoria consista in
una disformità cronologica che insorge
transitoriamente tra la percezione esterna e la rappresentazione mentale
suscitata da essa, e si origini sempre quando l’intelletto o i sensi sono
esauriti da fatiche precedenti. A conferma dell’ipotesi lo scrittore cita sé stesso come esempio. Nel visitare quotidianamente e per
molte ore i capolavori dell’arte italiana a Venezia, egli un giorno si recò
alla galleria dell’Accademia, e dopo lunga e attenta considerazione, passando
nella quinta sala (pinacoteca Contarini) ogni tela parevagli come se fosse stata da lui veduta nella stessa
sala e in mezzo ai medesimi quadri. Tuttavia ei sapeva che ciò non era
successo, e ne provava un sentimento quasi penoso. Dopo due giorni ritornò
all’Accademia, e, quando la sua visita si protrasse di parecchie ore, riprovò
la stessa angoscia, che svanì del tutto dopo che ebbe mangiato qualche pasta e
bevuto un sorso di Cognac. L’angoscia, secondo lui, è identica a quel senso di
pena che avverte ciascuna persona quando trovasi
dinanzi ad un fenomeno, in cui apparentemente è rotto il legame tra causa ed
effetto: allora si crede di vedere un effetto senza causa, come succede alla
vista di un movimento che sembra prodursi da sé stesso all’infuori di una
cagione motrice. Nulla però ha di comune il sentimento di angoscia,
di cui parliamo, con quello speciale degli epilettici o con i sintomi di certi
ammalati di neurastenia cerebrale.
Ma torniamo al Sander.
Prima di tutto il Sander comincia dal dimostrare che il processo psicopatologico non è stato
descritto in tutte le sue parti. È vero che il fondamento del fenomeno è
riposto in ciò che si sveglia in noi per breve tempo l’idea di aver veduto quella
cosa, di cui oggi abbiamo la prima percezione reale; ma più che di singoli
oggetti si tratta di un complesso di fatti, cioè di
una situazione. L’illusione consiste nel credere che il nuovo stato siasi in realtà anteriormente provato,
in modo che quando si produce per la prima volta sembra che si ripeta. A questo
concetto illusivo si collega un sentimento di pena
simile a quello che si prova nel ricordo oscuro di avvenimenti
passati.
Per riguardo alla sua frequenza può dirsi che da molte persone di mente sana è conosciuto per
propria esperienza, e che esso più facilmente si presenta nell’età giovanile.
Non può decidersi con sicurezza se l’illusione della memoria avvenga
spesso nella pazzia, perché d’ordinario gli alienati non sono in grado di
fornire sufficienti ragguagli sui loro processi psichici [rif.]. Se il Sander
non ci facesse avvertiti di tale circostanza, potrei aggiungere che per quanti
pazzi ho interrogato, specialmente epilettici, nei quali, come si dice, le
illusioni della memoria non sono rare, non mi è stato possibile ottenere una
risposta non dico esplicita, ma soddisfacente.
Il caso di un epilettico narratoci
dal Sander
dà un’idea delle illusioni mnemoniche. – Il malato è un giovane di 25 anni, che
soffre di accessi convulsivi fin dal tredicesimo anno.
Le sue energie mentali sono indebolite, ha tendenze
ipocondriache e carattere morale pervertito. Dal lato fisico è tardo lo
sviluppo, piccola la statura, e la voce ha conservato il timbro infantile.
Nelle membra non dimostra anomalie ed in special modo
alcun segno che accenni ad una differenza delle due metà del corpo e quindi del
cervello. Spontaneamente egli confessò di aver provato qualche tempo prima lo
stato che descrive con le seguenti parole: “Quando
avevo parlato con qualcuno o visto qualche cosa, mi pareva come se un’altra
volta avessi parlato o veduto, e dicevo a me stesso: tu hai già visto, udito o
fatto. Perciò io sentivo un’angoscia, che mi toglieva
anche la parola. Ma ora rifletto che fu un errore”.
Non sembra
possibile, soggiunge il Sander, riferire il fenomeno ad un disturbo anatomico e
funzionale del cervello. L’ipotesi del Jensen non è
accettabile, poiché non si tratta di un solo o anche di parecchi oggetti, ma di
una situazione completa, di una serie di avvenimenti; e però non hanno luogo
semplici percezioni, ma serie intiere di rappresentazioni, che insorgono
istantanee e confusamente nel campo subiettivo della
coscienza. Non si dice: ho già veduto l’albero, la casa, ecc.,
ecc.; sibbene: mi son trovato un’altra volta nella stessa
situazione; ed al ricordo fallace si associano una grande quantità di domande
sul dove, quando successe quel complesso di avvenimenti. E poiché rispondere a
questa domanda non riesce possibile, è naturale che si generino sentimenti di ambascia. L’individuo, sorpreso dalle
imagini che si suscitano nella sua mente, cerca in ogni modo di completare
l’oscurità del ricordo. Ora il nuovo stato psichico in cui si trova, e
lo smarrimento che lo accompagna disturbano l’appercezione, impediscono
l’associazione delle imagini e rendono inane ogni critica, che l’individuo possa tentare di siffatto anomalo processo della coscienza.
Tutto ciò significa, che per ora
dobbiamo contentarci di studiare il fenomeno dal punto di vista psicologico, ed
esaminarlo in connessione al procedimento naturale della memoria.
Dinanzi ad un fatto, che in tutto o
in parte ha corrispondenza con un altro fatto precedente, nell’istante del
ricordo insorgono e si annodano fra di esse una
quantità di rappresentazioni mentali, che hanno per oggetto il luogo, il modo,
il tempo e le circostanze in cui noi abbiamo visto, assistito, udito un’altra
volta questo od un simile avvenimento. Secondo le risposte più
o meno determinate che siamo in grado di dare a noi stessi, il ricordo
sarà chiaro o confuso. E quando la memoria delle cose
passate si presenta alla vista interiore con tinte oscure, noi proviamo un
sentimento di pena, talvolta assai doloroso.
Or nel fenomeno patologico della illusione mnemonica produconsi
imagini rappresentative e sentimenti consimili; ma la sua anormalità sta
riposta in ciò che l’avvenimento, il quale eccita il ricordo, non corrisponde
ad un altro succeduto prima. Per qual via può essere provocata una tale
illusione? Può rispondersi che certamente in molti casi si tratta di una
situazione, la quale ha simiglianze od analogie con situazioni precedenti
rimaste poco chiare nella memoria; ed è facile che per la deficienza del
ricordo siano ravvisate identiche. Queste simiglianze possono risaltare non da
tutta la tessitura del fatto, ma da una parte di esso,
da uno degli elementi che lo costituiscono o da una delle persone che vi
parteciparono. Allora dalla corrispondenza parziale tra alcuni elementi
rappresentativi del fatto successo ed il fenomeno percettivo attuale, si
svegliano rappresentazioni e sentimenti, pei quali si
è indotti nella convinzione che il fatto sia già stato provato in maniera del
tutto identica. E però è possibile, e forse non raro
il caso, che l’avvenimento cui si riferisce la somiglianza della situazione
presente, non sia avvenuto nella realtà, ma sognato od imaginato
spesso con vivezza ed energia. Si tratterebbe di una manchevole associazione di imagini, dalla quale deriverebbe il ricordo di un fatto
non mai successo.
Ma se questa
spiegazione può adattarsi a molti esempi, è difficile che valga per tutti. Ad
ogni modo è da ammettere che il fenomeno appartiene al dominio delle illusioni
psicologiche, ed in moltissimi casi, per la sua genesi, non v’è fondamento
alcuno di ricorrere a condizioni anatomiche. Può talvolta cotesto fenomeno
essere considerato come patologico, ed in un esempio del
Jensen ed
in quello dello stesso Sander
qual segno iniziale di un accesso epilettico: tuttavia, astraendo dai fatti
decisamente morbosi, è molto dubbio riguardarlo come indice di costituzione
psicopatica, poiché è stato osservato spesse volte nelle persone del tutto sane
di mente.
Rispetto poi al nome, il Sander preferisce
quello di illusione
della memoria, perché brevemente e con precisione designa il fenomeno
morboso, senza pregiudicare qualsiasi concetto che possa aversi sulla genesi
del medesimo. E si badi: la parola “illusione della memoria” non è da
comprendersi attivamente, sibbene passivamente. Se i sensi non ingannano, ma vengono ingannati da processi centrali patologici; dello
stesso modo non è la memoria che inganna, ma essa è ingannata da altri processi
psichici.
Alle idee del Sander si associa l’Emminghaus, e da
lui apprendiamo, sebbene non sia indicato né dal Jensen né dagli
altri psichiatri, che il fenomeno delle illusioni mnemoniche fu accennato dal Feuchtersleben
come “fantasma della memoria” e dal Neumann come “miraggio della sensazione” [rif.].
Il segno caratteristico, secondo l’Emminghaus, delle
illusioni della memoria sta in ciò che un complesso di varie rappresentazioni
mentali ne forma il contenuto, il quale si cambia continuamente e rapidamente.
E poiché il campo della coscienza non permette l’ingresso che ad una sola idea,
è naturale che in tanta folla di imagini non si possa
vagliare come si converrebbe il processo anomalo che si ordisce nella mente.
Attesa la rapidità con cui si avvicendano i fantasmi cerebrali, è facile
allora, nel confronto di due gruppi complessi di imagini,
l’uno prsente e l’altro passato, intravedere le
analogie e trascurare le differenze. Nel resto l’Emminghaus non propone alcuna
spiegazione diversa da quella del Sander.
II
Dal dominio degli alienisti il
fenomeno morboso della memoria passò in questi ultimi anni nel dominio degli
psicologi, tra i quali mi basti ricordare il Ribot e il Sully [rif.]. lo studio pertanto delle illusioni mnemoniche ha acquistato
un’importanza considerevole, ed a nostro giudizio il loro processo genetico è
stato interpretato con maggiore profondità di osservazione.
Al Ribot più che il
nome “illusione” sembra preferibile
quello di “falsa memoria”, che in
fondo poi è la medesima cosa. I fatti, riferiti dal Lewes e da altri osservatori, di persone
che, trovandosi a viaggiare in un paese straniero e imbattendosi d’improvviso in
un paesaggio sentono di averlo altra volta veduto,
sono spiegabili facilmente. L’impressione, che ci colpisce sul momento, sveglia
nella nostra esperienza mentale impressioni analoghe, vaghe, confuse, quasi
appena intravedute, ma bastevoli tuttavia a convincere che lo stato presente
sia una ripetizione dello stato primitivo, a costruire una identità sopra un
fondo di somiglianze. Si tratta quindi di un errore non completo,
ma parziale, poiché rifrugando nella vita antecedente si trova qualche
cosa che arieggia ad una prima esperienza. Tuttavia i casi di
illusioni della memoria non sono così semplici, e già ne abbiamo
discorso.
Non è un fatto isolato che si desta
nella nostra coscienza, ma, come dicemmo più volte, un complesso di fenomeni, o
in altre parole, una situazione. Nell’esempio descritto dal Pick, l’individuo, che era un pazzo
affetto da delirio sistematizzato, se assisteva ad
una festa, se visitava qualche luogo e via dicendo, sentiva di aver provato le
medesime impressioni, d’esser venuto in contatto con le stesse persone o con
gli stessi oggetti in identiche circostanze. In questi casi non è più
sufficiente la prima interpretazione, e ne bisogna necessariamente un’altra, la
quale ci spieghi in qualche modo le anomalie assai oscure del meccanismo cerebrale.
Conviene cioè ammettere che l’eccitamento ricevuto si
riproduca sotto forma di imagine. Ma un tale fenomeno è comune
poiché ha luogo per ogni ricordo che non sia prodotto dalla presenza
reale dell’oggetto o della cosa corrispondente. Però
nel nostro esempio l’imagine formatasi è assai intensa, di natura
allucinatoria, s’impone come una realtà, e non v’è circostanza esterna o
interna che valga a rettificarla. Ciò importa che
l’impressione reale perda la sua energia, assuma il
carattere sbiadito dei ricordi e sia ricondotta in un punto della successione
cronologica della vita trascorsa. Il nuovo stato allucinatorio, quantunque
vivissimo, non cancella però del tutto l’impressione reale; e siccome non è
contemporaneo ad essa, ma posteriore, apparisce alla
coscienza dell’individuo come una seconda esperienza e gli sembra, e lo è
infatti, più recente. Per noi, osserva il Ribot, che giudichiamo da un
punto di vista obiettivo, è falso che l’impressione esterna abbia agito due
volte; ma per l’individuo che in preda a fenomeni illusori giudica con gli
elementi della sua coscienza è vero che l’impressione sia stata doppiamente
sentita. Ad avvalorare cotesta ipotesi può addursi
che quasi sempre le illusioni della memoria sono
collegate a disordini mentali, in cui è tanto facile e comune la formazione di
imagini allucinatorie. Anzi aggiungerei che, senza il bisogno di supporre il
processo genetico delle illusioni come l’ha descritto il Ribot, potrebbe essere già
preceduto un periodo allucinatorio popolato da imagini identiche o consimili a
quelle che ora sono risvegliate da una somma di eccitamenti
reali esteriori; e nulla allora di più facile nel malato che il credere di
essersi trovato un’altra volta nelle stesse condizioni.
Sebbene non si interessi
dello svolgimento storico del problema, il Sully, in un libro di fresca
data, consacra alcune pagine bellissime alle illusioni della memoria. Ma prima d’ogni altra cosa conviene accordarsi
definitivamente sul significato delle parole, che spesso non adoperate in maniera
opportuna generano nello studio dei fenomeni psichici gravi e deplorevoli
confusioni.
Per illusione della memoria, dice il Sully, bisogna
intendere un falso ricordo o la falsa localizzazione
di un’idea in un certo punto del passato. L’illusione non sarebbe altro che
l’interpretazione erronea di un genere speciale di imagine
mentale, che il Sully
chiama imagine mnemonica.
Le illusioni comprendono tre classi
di ricordi:
a) I ricordi ai quali non corrisponde
nessun avvenimento obiettivo della nostra storia personale;
b) Quelli che ci rappresentano erroneamente il modo
con cui sono successi gli avvenimenti;
c)
Quelli infine
che falsano la data degli avvenimenti che essi richiamano.
Questa triplice classificazione
ravvicina intimamente, com’è facile a vedere, le illusioni della memoria alle
visive. Così le illusioni della prima classe possono essere assimilate alle
illusioni d’ottica conosciute col nome di sensazioni subiettive
di luce o spettri oculari. Come non v’è nulla che realmente si veda nel campo
visivo, e l’apparenza di un oggetto nasce da una sorgente che non è quella
delle eccitazioni luminose esterne e ordinarie; dello stesso modo nelle
illusioni mnemoniche della prima classe non v’è nulla di cui possiamo realmente
ricordarci, e gli “spettri mnemonici”
degli oggetti che si rammentano possono spiegarsi in tutt’altra
maniera.
Le illusioni della seconda classe o “deformazioni dell’imagine mnemonica”
hanno la loro analogia in quelle visive, le quali derivano dal perché la vista
è offuscata o dal perché tra l’occhio e l’oggetto esterno si interpongono
mezzi rifrangenti. Malgrado l’oggetto corrisponda alla
percezione, tuttavia esso ci apparisce sotto parvenze difettose, ingannevoli,
trasformate. Similmente le imagini della memoria sono spesso oscurate,
sfigurate e alterate per poco che siano lontane dal
momento presente e si guardino a traverso i lunghi spazi intermedi della nostra
esperienza cosciente. Il passato ci ritorna non quale fu realmente
quando era vicino a noi, ma con molteplici e quasi infinite modificazioni
e trasformazioni dovute ai mezzi rifrangenti psichici.
Infine le illusioni della terza
specie, che riguardano la localizzazione nel tempo e
che per questo potrebbero chiamarsi “illusioni
della prospettiva mnemonica”, hanno il loro equivalente nelle percezioni
erronee delle distanze visuali. Quando la nostra memoria falsifica la data di
un fatto, l’errore si produce quasi nell’istesso modo
come nei casi di apprezzamento visivo della distanza.
Ma la classe degli spettri mnemonici
è quella che precipuamente ci interessa. Qui non v’è
solo trasformazione degli avvenimenti passati, ma
completa creazione imaginativa: l’errore mnemonico
corrisponde alla allucinazione nel dominio dei fenomeni percettivi sensibili. E
se le allucinazioni dei sensi vanno distinte in quelle la cui prima origine è
una sensazione soggettiva che viene dalla periferia, ed in quelle che son dovute puramente all’opera dell’imaginazione;
così, per analogia, possono distinguersi due categorie di allucinazioni
mnemoniche: nell’una il falso ricordo trova corrispondenza in qualche cosa del
passato, ma questa cosa non è un fatto obiettivo, sebbene la rappresentazione
mentale di esso, per esempio, un sogno; nell’altra il falso ricordo non è che
la proiezione nel tempo trascorso di un’imagine attuale.
Ci occuperemo della prima categoria,
che è la più frequente ed interpreta bene per via psicologica le illusioni
mnemoniche.
Egli è certo che ogni ricordo si
produce per mezzo di un’imagine presente, la quale con un certo grado di
vivacità si identifica istantaneamente con qualche
avvenimento passato. In molti casi cotale processo istintivo di
identificazione è legittimo, poiché gli stimoli reali costituiscono la
sorgente più feconda e comune delle imagini mnemoniche. Ma
non avviene sempre così. Per le nostre immagini altre cause rivaleggiano con
l’esperienza personale, e talvolta queste cause lasciano dietro di esse una viva rappresentazione, che ha tutta l’apparenza di
un’imagine mnemonica pura. Si corre il pericolo di prendere per immagini vere
delle imagini mnemoniche contraffatte; si cade nell’illusione di ricordarsi di
ciò che in realtà non è mai successo. E le cause
illegittime e ingannevoli, di cui parliamo, risiedono in due funzioni mentali
che si assomigliano moltissimo per la vivezza e la forza alla percezione vera
degli oggetti reali: il sogno e l’imaginazione allo
stato di veglia.
È facile
comprendere come i sogni possano condurre a ricordi illusori. Durante
il sogno vi è un’esperienza psichica che si avvicina assai alla
esperienza della percezione normale. Quindi i sogni possono lasciare
dietro di essi, per qualche tempo, delle imagini vive,
che imitano l’apparenza delle imagini reali della memoria; ed ognuno avrà
notato certamente questa influenza del sogno sui pensieri della veglia. Ma oltre all’effetto immediato, che disturba l’ordinario
funzionamento della memoria, c’è ragione di credere che il sogno possa spiegare
sulla memoria un’efficacia più lontana. Egli è poi probabilissimo
che i nostri sogni siano in gran parte la causa precipua per
cui un luogo che visitiamo per la prima volta od una fisionomia nuova
assumono dinanzi a noi un’aria famigliare. Se durante il sonno sogniamo con una certa chiarezza, e se il sogno non è altro
che una trasformazione continua delle impressioni della veglia, alle quali si
mescolano altri elementi psichici, non sorprenderà che i nostri sogni qualche
volta per anticipazione possano apprestarci alcune forme della vita esterna, di
cui gli oggetti e le scene che mai si sono veduti giungeranno a perdere i
caratteri della novità. Come il mondo reale con i suoi svariati atteggiamenti
si dipinge nel sogno; così il sogno può rimandare nel
mondo reale qualcuno dei suoi fantasmi. E non solo i
sogni riescono a generare queste illusioni momentanee della memoria, ma danno
origine ad illusioni permanenti. Se un sogno ha stabilito un legame tra una
certa idea e un certo luogo o persona, e l’esperienza
ulteriore non ha corretto l’inganno, noi possiamo conservare la
convinzione di essere stati testimoni del fatto. E naturalmente dobbiamo
aspettarci che tal risultato sia soprattutto frequente in coloro
che hanno l’abitudine di sognare con molta vivacità come i fanciulli.
Un’altra sorgente degli spettri
mnemonici è l’imaginazione allo stato di veglia. In
certi stati morbosi della mente, e talvolta nelle menti
sane che sono dotate di una forza fantastica speciale, i prodotti dell’imaginazione possono somigliare ai sogni per i loro
caratteri vivaci e la loro apparente realtà. Se tale è
il caso, le illusioni mnemoniche possono insorgere immediatamente come se fosse
avvenuto un sogno. E il fenomeno succede più facilmente
quando l’imaginazione si è occupata per
qualche tempo di uno stesso gruppo di scene e di personaggi ideali. Ciò può
avvenire e avviene nelle condizioni psichiche normali:
ma nella pazzia, in cui i poteri percettivi si alterano, l’illusione di
scambiare le imagini passate per realtà è molto forte e durevole. Tuttavia
nella maggior parte dei casi le illusioni della memoria, che nascono da
un’attività anteriore dell’imaginazione, non appaiono
che dopo un certo tempo, allorquando le immgini
mentali ricavate dalla esperienza reale, se le cose
seguissero il loro corso naturale, cadrebbero in un certo stato di
indebolimento.
A noi sembra che quanto abbiamo detto
costituisca l’unico modo di spiegare le illusioni mnemoniche, le quali hanno il
loro quasi esclusivo fondamento o nei sogni od in una esagerata
attività imaginativa, ma più in quelli che in questa.
L’interpretazione proposta dal Sander, in fondo, regge sempre, ed il Ribot ed il Sully, con la profondità
d’analisi che distingue i due eminenti psicologi, non fanno
altro che confermarla ed arricchirla nello stesso tempo di altri particolari.
Torino,
maggio 1883
G. Buccola