42
– I vermi della pazzia
Gabriele
Buccola in uno
dei suoi ultimi lavori [n. 188 della bibliografia buccoliana]
descrive il caso di un suo paziente del manicomio di Torino, un giovane
ingegnere, apparentemente sano, ma in realtà oppresso da manie di persecuzione
(anche da …telegrafo!), paure di
avvelenamento e “complessi” vari (gambe
storte, ecc.). In particolare quest’uomo credeva di essere invaso da vermi,
polipi, molluschi e meduse, ne sentiva il formicolio nel cervello e nel sangue
e si lasciava deperire per paura, per esempio, che i farinacei contenessero
altre larve o insetti e l’acqua contenesse microbi nocivi o le “anguillule” del vino o dell’aceto.
Sicuramente questa anamnesi avrà colpito la fantasia
popolare e avrà contribuito ad alimentare le leggende dei compaesani di Buccola. Ancora oggi infatti i vecchi
contadini di Mezzojuso raccontano ai nipotini che il loro scienziato “mondiale” scoperchiava il cranio per
togliere il verme della pazzia che “divora
il midollo” (vedi
AG 2).
Naturalmente si possono individuare altre concause nella
patogenesi di questo contagiosissimo “virus della follia”: l’esperienza
contadina delle pecore che, specie con l’arsura e la “calura” estiva, realmente impazziscono a causa di insetti; il “verme cerebellare” che unisce i due
emisferi del cervelletto; la diceria della pazzia che avrebbe portato alla
tomba lo stesso Buccola; ecc.
Per parte mia credo di rimanere nel dominio dei fatti
scientifici associando il “vermicolio”,
per esempio, dei bigattini (vedi immagine)
al “rumore”, al regime turbolento dei fluidi o
alla fibrillazione del cuore (vedi anche La lingua bistabile. La scoperta di Mario Lucidi).