3 - L’acumetria
Quella disciplina che fino a 90 anni fa si chiamava acumetria
oggi si chiama audiometria (o audiologia). Ma il progresso è
stato tale che si tratta di una scienza del tutto nuova che ha relegato nel dimenticatoio
la sua antenata, come si verifica su Google: su 57
uscite di “acumetria” ve ne sono
14.600 di “audiologia”!
L’armamentario tecnico di una volta (orologi campioni, diapason, martelletti, voce afona, pendoli sonori, acumetri, audifoni, dentafoni, ecc.) è stato fagocitato da sorgenti sonore
e misuratori (fonometri) elettrici,
elettronici e computerizzati. Le “scale acumetriche”,
apparentemente troppo soggettive, sono state sostituite da più asettici
parametri matematici (audiogrammi, decibel, filtri, trasformate di Fourier, ecc.) apparentemente più obiettivi o
scientifici. Col risultato, io credo, di trasformare i medici (otorino e
simili) in ingegneri e far qualche volta perder loro di vista certi fenomeni o
aspetti, magari elementari, dell’udito.
Libero da obblighi professionali e, soprattutto, “sgombro”
dei fardelli di cui sopra io mi sono accostato a
questa scienza da fisico, da “esterno”, da curioso, da dilettante e ho
divorato, con grande interesse, per esempio,
Mi sono così ricordato di quella “prova acumetrica”
con l’orologio di mio nonno (accostato all’orecchio o “auscultato” con un
manico di scopa a guisa di stetoscopio…) che da ragazzino mi piaceva tanto,
oppure delle prove con la voce bisbigliata cui fui sottoposto
quando feci l’esame per la patente automobilistica (mi pare, presso l’ufficio psicofisiologico delle ferrovie, a Palermo), o le visite
specialistiche di mio padre che soffriva di vertigini ed era un po’ sordo. E poi: la trasmissione molare o molecolare, l’audizione per
via ossea, la scala ototipica, le simulazioni di sordità,
l’incoordinazione tra i movimenti del torace e quelli
del diaframma, il fatto che l’orecchio non sente, ma “indovina” la vocale… e
naturalmente molto altro.
Da fisico, in particolare, mi intrigavano
i diapason, strumenti mai visti, né studiati né tanto meno adoperati nella mia
lunga carriera. In genere nei libri si accenna alla loro stabilità in frequenza,
alla purezza e al rinforzo del suono con la cassetta di risonanza. È molto meno
noto (almeno nel mio caso), per esempio, che la cassa di risonanza abbrevia anche
(smorza) il suono; che il modo di
battere i rebbi è essenziale; che lo spettro “acustico” prodotto non è affatto uniforme (vedi
disegno a destra); che l’unico sistema di avere suoni relativamente calibrati
(e proporzionali a un certo peso P) è tagliare lo spago del disegno (a sinistra); che il modo in cui il piede
del diapason è stretto alla morsa influisce anch’esso sui parametri acustici,
ecc.