DA
23 – Terme o Terne? (7.5.2013)
Da circa 10 anni, nel mese di ottobre, sono solito fare un ciclo di cure
inalatorie alle terme di Tivoli (foto a
sinistra) traendone grande giovamento per il mio malandato apparato
otorinolaringoiatrico. Nel 2008
invece, trovandomi a Termini Imerese, la cura l’ho fatta alle terme della mia
città (foto a destra), con risultati,
credo di poter dire, ancora migliori (catarro
minimo e nessuna influenza in quell’inverno).
Il fatto che le nostre terme
siano meno “quotate” (quoted, citate) mettiamo di quelle di Tivoli,
di Fiuggi o di Montecatini non dipende dalle loro scarse virtù terapeutiche ma
dalla “secolare” dabbenaggine dei
termitani. So benissimo di attirarmi altri strali, ma per me fanno fede le
parole di J. Houel (vedi AG 28) sul suo soggiorno a Termini (verso il 1780) e che riporto dalla
traduzione del celebre “Viaggio in
Sicilia e a Malta”, Palermo 1977, p.
44 (edizione per il Banco di Sicilia,
a cura di Leonardo Sciascia e altri):
“Terminati i disegni e scritte le osservazioni sui bagni, fui
condotto da certi personaggi che avevano curiosità di conoscermi. Essi mi
dettero conferma di ciò che avevo già notato in questa città. Come in molti
altri luoghi, anche qui si cerca di aumentare la propria fortuna, e di questo
non c'è da sorprendersi; ma fui sbalordito nel vedere come ci si dedicasse
seriamente all'arte di cercar tesori e a quella non meno chimerica di
indovinare i numeri vincenti al lotto. Straniero, viaggiatore, francese, forse
passavo ai loro occhi come più abile di qualsiasi loro concittadino; mi
scambiarono per un grande indovino, mi assalirono con le richieste più inaudite
e mi fecero le domande più strane sui tesori nascosti e sui numeri della
prossima estrazione.
Fu tale il mio fastidio che decisi di liberarmene e allo stesso
tempo di fare un esperimento sulla credulità umana. Dissi dunque al più
ostinato nel ritenermi un esperto negromante, che avrei potuto esaudirlo, sia
che volesse trovare un tesoro, sia che volesse vincere alla lotteria; ma che
nelle pratiche necessarie al successo della cosa, bisognava rivolgersi al
diavolo. Ebbe un fremito e mi chiese, facendo una gran confusione, se non si
potesse riuscire con qualche altro mezzo, matematico, algebrico, o fisico. No,
gli dissi, è necessario un motore attivo, potente, occulto, e capace di rendere
efficace la mia operazione; ora capite bene che non c'è che il diavolo che
possa fare ciò che Dio non permette nell'ordine naturale. Si spaventò e rinunciò
ai suoi desideri, ma con tanto rimpianto e tanta credulità in tutto ciò che gli
raccontavo, che immancabilmente avrebbe finito col soccombere se avessi
insistito o se avessi usato gli ingegnosi sotterfugi di cui si servono i furbi
per ingannare gli sciocchi, tale è l'ignoranza e la credulità di questa gente.
Un giorno, ad uno dei frati del convento in cui abitavo, dissero
che era davvero fortunato ad avere la possibilità di ottenere da me numeri
eccellenti: e quello non ebbe il benché minimo dubbio di avere a portata di
mano il mezzo per far fortuna. Alcuni giorni prima della mia partenza, mi
trasse in disparte e mi chiese come tutta ricompensa dei buoni servigi che mi
aveva reso di indicargli tre numeri della
lotteria per la prossima estrazione. Rimasi interdetto per qualche momento:
rifiutare, negare la mia scienza non significava solo disilluderlo, ma
addolorarlo, offenderlo, mostrare ingratitudine e perfino umiliarlo. Presi la
mia decisione: mi concentrai e con il tono più solenne che riuscii a sfoggiare,
gli scrissi i primi tre numeri che mi vennero in mente. Come fare altrimenti?
Era un modo di augurargli buona fortuna. Li ricevette con vivissima gioia e con
la persuasione assoluta di aver fatto un grosso colpo”.