RE 14 – “Cordon, s’il vous plait” (12.10.2011)
Ho già raccontato (vedi
AG 28) che
era mio padre a risolvere i problemi spiccioli, e meno spiccioli,
dei termitani. Io, nel mio piccolo, ero invece chiamato da tutto il parentame a riparare radio, ferri da stiro, valvole saltate
(fusibili), guarnizioni di rubinetti
e più di tutto “lazzi”, cioè corde
per aprire il portone (vedi disegno).
In tempi in cui le elettroserrature
non esistevano o erano un lusso rarissimo le porte delle case, in particolare
quelle diffusissime di una o due stanze
per piano (dette eufemisticamente “a
torre”), si aprivano tirando un cordoncino che scendendo verticalmente (attraverso un buco fatto ad hoc nel solaio)
e passando da ogni piano arrivava, tramite una puleggia fissata al muro, al
gancio della serratura automatica “a
molla”, di cui abbiamo già descritto il funzionamento alla chiusura della
porta (vedi RE 12). Il punto critico del
sistema, ovviamente, era il “gomito”
della puleggia che a lungo andare, o meglio a lungo “tirare”, sfilacciava, impigliava o
rompeva “u lazzu”.
So bene che molti considereranno queste cose banalissime e “indegne” della veste scientifica di cui
il sottoscritto le ammanta, ma sono certo che se leggessero (senza paraocchi e senza il cancro del
pregiudizio) ciò che Poleni o Reuleaux hanno
saputo “tirar fuori”, è il caso di
dire, dagli organi di trazione (Zugorgane) e dai
loro duali “organi di compressione” (Druckorgane) si
ricrederebbero.
Le meraviglie degli ultimi
secoli della meccanica, della telegrafia, dell’elettrotecnica,
dell’informatica, dell’elettronica, ecc. hanno fatto perdere di vista che queste tecnologie sono “tutte” figlie delle evoluzioni secolari
o millenarie dei predetti organi di trazione (filo) e compressione (acqua). Ma l’uso del laccio (cordon) per aprire
le porte è universale e la sua importanza è tale che si è radicato nella
lingua: i francesi infatti, ancor oggi, dicono “Cordon, s’il vous plait” (Aprite, per favore).