Fig. 1
Fig. 2
Roma, 20 novembre 2008
Caro Agostino,
ho ancora bisogno della tua preziosa consulenza per il libro che
ho in cantiere sulle acque di Termini (acquedotti, sifoni, castelletti, terme,
sorgenti, ecc.).
Sto scoprendo, leggendo quella miniera che è il libro Termini
com’era del Navarra, che la strada che i
termitani chiamiamo dei Cavallacci in realtà si chiama, ed era, la strada
“consolare Valeria”. Fino al 1725 (correggimi se sbaglio), e cioè fino a quando
non fu tracciata la via Stesicoro, Termini era un promontorio invalicabile. La
carrabile (poco più di una mulattiera, se ho ben capito!) da Messina si
inerpicava, passando per il Fondaco Arancio (o Conceria, dove c’era una
stazione di posta per rifocillare i cavalli) per la Barratina, incrociava al
Mazzarino la (costruenda) strada per Caccamo e discendendo per la vallata di
Bevuto attraversava il san Leonardo e proseguiva per Trabia.
Anche da porta Palermo ovviamente si arrivava a Trabia: con la
mulattiera o “accurzu” sotto al camposanto e con una strada più lunga e meno
ripida che partiva da via del Mazziere, percorsi che confluivano entrambi nel
monumentale ponte san Leonardo, che Navarra definisce “perpetuo”, perché
destinato a resistere alle piene che avevano travolto tutti gli altri
ponticiattoli precedenti.
Nella cartina che allego ho segnato orientativamente questi
percorsi, compreso il camposanto di Bevuto e le contrade Nicchi e Roccarossa
che per la verità non conosco. Pare che la collina di Patara sulla Ginestra sia
stata sbancata molto tempo dopo per rendere carrabile la “litoranea”, ma quello
che non capisco proprio è il fatto che la consolare citata si inerpicava per il
Bragone, attraversando un ponte a sesto acuto – forse come quello Chiaramonte
(…), molti km più a monte e attualmente sommerso dalla diga Rosamarina – e
arrivando al mare dopo Trabia. …
Il destinatario di questa mia
lettera, Agostino Navarra (Fig.
1), non ha certo bisogno di essere presentato ai Termitani,
perché tutti sanno che, seguendo le orme dei Solito, dei Palmeri, dei Romano, dei Ciofalo, dei Patiri o
dell’altro grande Navarra, Giuseppe, di cui diremo tra breve, ha
avuto a cuore sempre, e solo, la storia e le sorti del suo paese. Ancor oggi,
non più ispettore “onorario” della
Soprintendenza Archeologica (carica
soppressa), e carico di malanni, ha accettato con entusiasmo “di ragazzino”, di cercare di soddisfare
le curiosità, soprattutto tecnico-scientifiche, del sottoscritto, un termitano
da mezzo secolo emigrato “nel Continente”,
e di istruirlo sulle nostre antichità e sulle nostre radici. Per ringraziarlo,
oltre a dedicargli queste poche righe, desidero dirgli che mi è spesso
capitato, incontrando dei termitani, anche sconosciuti, che mi si chiedessero
notizie di Ustinu Navarra, quasi
identificandolo, con stima e con affetto,
con la nostra lontana Termini.
Un termitano specialissimo
invece l’ho incontrato, un paio di anni fa, in mezzo ai libri della ricchissima
biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini” che spesso frequento. Si tratta del citato Giuseppe Navarra (1893 –
1991), mio professore di inglese al ginnasio (Fig. 2), e
cultore non solo di storia locale, ma studioso attentissimo ed
acutissimo, alla Pitrè o alla Higgins, della parlata termitana (ad esempio: U rissi e u fici, Si nni ieru a mmala minnitta, ecc.), con i suoi
paradossi, aforismi, sottintesi, contaminazioni linguistiche dalle varie e
secolari dominazioni straniere, ecc., come si evince dalle sue numerose opere: Termini com’era (1991), Locuzioni e modi
proverbiali nella parlata di Termini Imerese (1991), Dizionarietto di un
italiano in America (1996), ecc.
In un prezioso scritto postumo
sull’acquedotto Cornelio (Espero, n. 22,
1991) Navarra si augura che un giorno si possa scrivere una parola
definitiva su questo nostro monumento
tanto importante e tanto discusso. Non posso che associarmi.