5. Su un
nuovo elettroscopio[1]
Fig. 5
Si sa che un conduttore allo stato naturale messo
vicino ad un conduttore elettrizzato, dissimula[2]
una parte di questo stato elettrico, e, restituendo a poco a poco al fluido
dissimulato la sua tensione positiva man mano che il fluido sensibile si va
disperdendo, prolunga la durata della carica elettrica. D’altra parte, è noto
che questo effetto è derivato dall
Una felice combinazione di questi tre dati mi ha
fatto concepire la possibilità di costruire un elettroscopio (Fig. 5 e Fig. 6)[3]
di estrema sensibilità e capace di mantenersi elettrizzato nell’uno o
nell’altro senso per un tempo molto maggiore di qualsiasi apparecchio
conosciuto di questo tipo. Il risultato ha corrisposto del tutto alle mie
aspettative ed essendo convinto che questo nuovo strumento diventerà molto
utile in parecchie ricerche elettriche, tenterò di descriverlo con tutti i
particolari necessari.
Fig. 6
Immaginate una piccola tazza A, munita di due
lunghe appendici filiformi DD saldate a due punti opposti del bordo superiore,
e comunicante con una sfera o disco metallico E attraverso un conduttore che
passa lungo l’asse di un tubo di vetro. Immaginate poi una seconda tazza
metallica capovolta B, un po’ più piccola e molto più leggera della precedente,
attaccata sotto un filo o leva metallica CC, sospesa al centro ad un filo di
seta F.
Supponete infine gli assi delle due tazze nella
stessa verticale e il filo di sospensione portato ad una altezza tale che la
seconda si trovi contenuta tutta all’interno della prima, e possa girare
liberamente attorno al suo punto di sospensione senza che si stabilisca
contatto tra le sue pareti e quelle della tazza fissa A (*).
Stando così le cose, è chiaro che se il
conduttore E riceve una carica elettrica, essa si propagherà per trasmissione alla tazza esterna A, e
che da lì agirà per induzione sulla
tazza interna B. Supponiamo, per fissare le idee, che l’elettricità comunicata
sia positiva.
Questa forza elettrica distribuita in A
disturberà l
Per quanto riguarda la tazza interna B e la
relativa leva CC, ci sarà elettricità negativa dissimulata sulla parte centrale
rispetto alla tazza A, ed elettricità positiva libera sul resto del sistema
mobile, cioè sulla sommità piatta della tazza invertita e sulla leva sopra
essa. Ora, quest’ultima specie di elettricità sarà ovviamente molto più
energica alle estremità della leva che nella parte centrale e sopra la tazza: primo, perché queste estremità
costituiscono i punti più distanti dall
Così la leva CC, possedendo lo stesso genere di
elettricità delle appendici DD, ed essendo per la sua posizione concentrica
sottoposta all’azione cospirante della loro forza repulsiva, sarà energicamente
respinta (a meno che non si trovi sullo stesso preciso azimut di quelle), e
dopo qualche oscillazione si fermerà deviata di un certo angolo. La carica
elettrica comunicata al sistema fisso EADD comincerà allora a diminuire. Ma
questa diminuzione sarà molto più lenta che negli elettroscopi ordinari, a
causa dell’elettricità dissimulata, che si libererà a poco a poco dalla parte
centrale e verrà a rimpiazzare sulla tazza A, le sue appendici DD, il filo di
comunicazione e il disco E una parte dell’elettricità libera perduta per
l’effetto della dispersione. L’elettrizzazione doppia o induttiva del sistema
mobile BCC seguirà esattamente le fasi successive dell’elettrizzazione semplice
del sistema fisso: i suoi due principii si ricomporranno gradualmente in
proporzione alle perdite della carica e, dopo un certo tempo, tutto tornerà
allo stato naturale. Tutto questo che stiamo dicendo è indipendente dal metodo
impiegato per caricare il conduttore E, e conseguentemente si applicherà
ugualmente al caso della carica diretta tramite contatto ed al caso della
carica indiretta o contraria, ottenuta per mezzo dell’induzione.
Riassumendo: la parte mobile dello
strumento si elettrizza sempre per induzione e mai per comunicazione; la
differenza di forma tra il centro e le estremità dei pezzi fissi e mobili rende
la distribuzione delle forze motrici la più vantaggiosa possibile per la rotazione
dell’indice, e l’azione induttiva delle superfici centrali prolunga la durata
della carica ricevuta poiché dissimula una parte di elettricità per renderla a
poco a poco allo stato libero di pari passo con le perdite subite.
Afferrato il senso di queste nozioni preliminari,
si comprenderà poi la condizione che bisogna soddisfare nella costruzione
dell’apparecchio e la maniera di impiegarlo.
Considerata la sottigliezza dei pezzi che
costituiscono la parte essenziale dello strumento, che contribuisce ad
accelerare le perdite di elettricità nel mezzo ambiente, è necessario
racchiuderli in una gabbia dove l’aria sia mantenuta molto secca mediante una
sostanza avida di umidità. L’aria secca è indispensabile soprattutto affinché
la torsione del filo di seta che sostiene la tazza capovolta non vari, e
affinché l’indice CC possa ritornare allo stesso azimut una volta che le
appendici DD hanno perduto la loro carica elettrica.
Bisogna poi che la gabbia abbia una forma
conveniente. E poiché le osservazioni da fare richiedono la conoscenza degli
angoli di deviazione formati da due barrette sovrapposte senza contatto, e
mantenute distanti da un quadrante posto al di sotto, la disposizione più
favorevole allo scopo è evidentemente sospendere l’estremità libera del filo di
seta alla sommità interna di un tubo verticale innestato al centro di un disco
orizzontale di vetro, la cui circonferenza poggi su un recipiente cilindrico di
metallo, poco più grande della leva mobile e delle sottostanti appendici della
tazza fissa. I bordi superiori di questo recipiente devono essere piatti, con
una guarnizione di cuoio per intercettare la comunicazione tra l’aria interna
ed esterna, e muniti di viti di pressione che serrino il disco di vetro sul
cerchio metallico.
Il cerchio graduato che misura gli angoli formati
dalla repulsione dell’indice, deve essere forato al centro per dare libero
passaggio alla tazza fissa A sostenuta da un tubo di vetro verniciato, il cui
interno conterrà il filo di comunicazione circondato di mastice isolante.
Questo conduttore isolato si piegherà due volte ad angolo retto nello stesso
piano verticale, riprenderà la sua direzione primitiva e arriverà al pezzo
esterno di metallo destinato all’introduzione della carica elettrica.
Lo spazio inferiore del quadrante dovrà ricevere,
mediante aperture a viti praticate sul fondo del recipiente cilindrico, uno o
due serbatoi pieni di cloruro di calcio.
Il fondo di questo recipiente si appoggerà su un
treppiede, munito di viti che servono a mettere il filo di sospensione
nell’asse dell’apparecchio.
Infine la necessità di trasportare l’apparecchio
da un luogo all’altro e di dare alla leva mobile un certo angolo iniziale di
deviazione richiederà all’estremità superiore del tubo che sostiene il filo di
seta due tipi di movimento: il primo,
di semplice traslazione verticale, per far posare la tazza capovolta interna
sul fondo piatto della tazza diritta esterna, e poi riportarla all’altezza
opportuna; il secondo, di rotazione
orizzontale, per mettere la leva indicatrice, all’inizio di ogni serie di
esperienze, ad una piccola distanza angolare dalle appendici fisse. Il
movimento di rotazione si comunicherà al sistema mobile in virtù della forza di
torsione della seta.
Poiché è grazie a questa stessa forza di torsione
che si ha la resistenza che fa equilibrio all’azione elettrica e arresta la
leva e la tazza elettrizzata per induzione
ad una distanza angolare più o meno grande, bisogna proporzionarne il
valore a quello della massa rotante. Ecco perchè, in luogo di un solo filo di
bozzolo, sarà utile prenderne parecchi riuniti, non ritorti a mano, ma
semplicemente incollati insieme per azione della propria natura gommosa e
dell’acqua calda, così come escono dalla prima operazione della filatura.
Del resto, se la forza di torsione del filo di
seta risulta troppo debole, e quando si vuole abbreviare il tempo delle
osservazioni, basterà posare parallelamente alla direzione dell’indice un
piccolo ago magnetico sulla tazza mobile, come si fa per l’indicatore
dell’elettroscopio di Peltier, e piazzare le appendici della tazza fissa in una
direzione che formi un angolo di 4 o 5 gradi con il meridiano magnetico.
Ma in tal caso non bisogna dimenticare che si
perderà in sensibilità quello che si è guadagnato in prontezza delle
osservazioni, più o meno come quello che accade in meccanica quando si tratta di sollevare un peso ad una
certa altezza, con una forza applicata direttamente o resa più efficace per
mezzo di taglie, verricelli od ogni altra macchina, perché non si può aumentare
la velocità che a spese della forza, o viceversa.
Il soccorso dell’ago magnetico potrà tuttavia
essere utile in parecchie circostanze, e soprattutto quando la eccessiva
umidità dell’aria toglie rapidamente l’elettricità alla parte esterna dello
strumento (**).
———
(*) - Nell’elettroscopio modello fatto costruire
dal Melloni, secondo vedesi nella figura, vi ha una particolarità di cui non si
fa parola nella descrizione. Dal mezzo nel fondo interno della tazza fissa si
eleva un piccolo cilindro metallico f, il quale, quando la tazza mobile è stata
bene equilibrata nel suo convenevole sito, trovasi dentro di essa senza punto
toccarla).
(**) - Le dimensioni del modello sono le
seguenti: diametro della scatola
[1] Memoria letta il 25
agosto 1854, quindici giorni dopo la morte di Melloni, da A. Nobile alla Società Reale Borbonica di Napoli (vedi qui a p. 34) e inserita sia nei Rendiconti che nelle Memorie di tale Società (Atti accademici pubblicati, come già
detto, nel 1856, con due anni di
ritardo). La descrizione dell’elettroscopio di Melloni apparve anche nelle
maggiori riviste scientifiche dell’epoca: Comptes
Rendus des séances de l’Académie des sciences, XXXIX, 1854, pp. 1113-1117; Philosophical Magazine, 1854, pp. 276-279;
Archives des sciences physiques et
naturelles, XXVII, 1854, pp. 274-280;
Corrispondenza scientifica, n. 44,
gennaio 1855; Ateneo Italiano, 1854, pp. 40-46.
Tutte queste edizioni sono in francese o inglese, mentre in italiano
uscì solo una recensione ne Il Cimento
(quello di Torino, non di Firenze), 1855, pp. 82-83 e, forse, in opuscolo
presso Del Vaglio, Napoli 1854.
Comunque, quella che segue è una versione in italiano di A. Gaeta, curatore di questo Atomo.
[2] Nel Phil. Mag.,
citato, tale verbo è tradotto con renders
impercettible.
[3] Nel citato Rendiconto
del 1854 della Società Reale Borbonica la Fig.
6, molto stranamente, è replicata due volte, alle pagine 83 e 85.