A. Nobile – Necrologio di
Macedonio Melloni[1]
…
Svelata una volta dal Melloni la bipolarità delle
rocce, il modo di esplorarla, ed il gran potere che quella esercita su l’ago calamitato;
e però svelate le forze, la risultante delle quali è probabilmente la cagione
prossima del magnetismo terrestre e delle alterazioni che patiscono i suoi
elementi, ben travedesi il novello cammino che saran per prendere le dottrine
sul magnetismo del nostro pianeta.
E bene avrebbe egli in parte attuate queste belle
speranze, se non fosse stato ritenuto dal timore di incorrere in forti spese, o
se uno spirito straniero agl’interessi della scienza non avesse messo ostacolo
agli ajuti opportunamente invocati, ed ai quali non sarebbe certo mancata la
superiore approvazione.
Le belle e magnifiche esperienze fatte dal
Faraday mediante i congegni de’ telegrafi elettrici che costruisconsi in
Inghilterra, e comunicate da questo fisico a Melloni, svelarono nelle
manifestazioni elettriche de’ fili metallici vestiti di gutta perca e tuffati nell’acqua o sotterrati, fenomeni fisiologici
e fisici che non si riproducono ne’ fili aerei e, di più, una minor velocità di
trasmissione in quelli che in questi. Tali fatti scoperti dal celebre Fisico
inglese, porsero le migliori pruove intorno alla identità della elettricità
statica e dinamica, e sparsero viva luce su le cagioni delle discrepanze
trovate da’ diversi osservatori nella velocità con la quale l’elettrico percorre
i conduttori metallici. Il Faraday vide in quelle esperienze confermata col
fatto una delle tante felicissime previsioni dell’altissima sua mente,
l’alterazione, cioè, della celerità per via delle induzioni; ma scorse eziandio
pruove favorevoli alla sua teorica della conducibilità: al che era indotto dal
supporre che la tensione, secondo il verso della propagazione longitudinale,
diminuiva per le induzioni laterali. Al Melloni, cui toccò in sorte il
comentare ed ampliare le conseguenze tratte dalle magnifiche esperienze testé
menzionate, non parve giustificata abbastanza la connessione tra la tensione e
la velocità dell’elettrico, potendosi dar ragione del fatto anche colla teorica
ordinaria; e però si fece a proporre al Faraday alcune esperienze atte a
sciogliere direttamente la quistione, di assoggettare, cioè, un istesso filo
metallico ad elettro-motori voltaici
di diversa tensione, ed in conseguenza di numero diverso di elementi. Le
esperienze, eseguite con istraordinaria perizia dal valente ingegnere Clark
secondo il desiderio del Melloni, provarono ad evidenza, che il potere diverso
delle pile non ha influenza alcuna sulla velocità di trasmissione de’ telegrafi
elettrici, e che quando l’elettrico allo stato di corrente ha tanta forza da
vincere la somma delle resistenze oppostegli da un conduttore quanto si voglia
lungo, l’aumento di una tensione 15 o 20 volte maggiore non induce differenza
alcuna nella sua velocità di propagazione.
Il Melloni giustamente mostrò quanto questo fatto
importante della eguaglianza di velocità delle correnti di varia tensione sia
incompatibile col significato generalmente attribuito alla denominazione di quantità, e tensione, e quanto, al contrario, sia in armonia colla opinione di
coloro i quali suppongono le correnti elettriche analoghe alle vibrazioni
dell’aria sotto l’azione de’ corpi sonori.
Ho voluto intrattenermi più del dovere intorno a
questo lavoro, non solo per la sua importanza, ma ancora perchè porge splendido
argomento di ciò che possa pe’ progressi de’ lumi l’accordo amichevole de’
grandi della scienza quando unicamente intendono al sacro culto della verità.
Farò fine a questa lunga rassegna di scoperte col
rammemorare le due ultime pruove dell’ingegno inventivo del nostro collega
colle quali chiuse il corso luminosissimo della sua vita.
Negli ultimi mesi, anzi negli ultimi giorni della
sua esistenza, drizzò egli la mente alla elettricità statica, e, per via di
nuove esperienze, prese a dimostrare che i due principii elettrici che si
svolgono in un conduttore isolato in presenza di un corpo elettrizzato non vi
si trovano ambidue in uno stato libero,
ma uno, cioè il contrario, vi si trova dissimulato,
e l’altro libero: di maniera che nel
corpo che patisce l’influenza non è altra elettricità sensibile che quella
omologa al corpo attuante, la quale
vi si trova distribuita in maniera da esser minima nella parte anteriore o
prossima a quest’ultimo corpo, e massima nella parte lontana.
Le esperienze del Melloni non contraddicono punto
quelle del Coulomb e di altri fisici fatte col piano di prova o dischetto isolato: se non che queste ultime non
darebbero più la misura della elettricità libera, ma l’eccesso della
elettricità dissimulata divenuta libera col distacco del disco dal corpo
attuato di cui faceva parte, su quella che vi si trovava libera.
Le esperienze e le deduzioni testé menzionate, se
mal non mi avviso, rientrano ne’ principii e nelle dottrine bene intese della
elettricità che i fisici chiamano dissimulata,
ma valgono bene a distruggere errori ed illusioni e a richiamare l’attenzione
de’ fisici su di un punto importantissimo dell’elettrica scienza (*).
Era gran tempo che la fisica reclamava un
esploratore dell’elettricità di tensione, un elettroscopio che fosse più
squisito di quelli conosciuti, o che almeno lo fosse come quello di
Bohnenberger, senza la infedeltà delle sue indicazioni. Il Melloni spiegò tutto
il suo raro ingegno inventivo per dare alla scienza un simile istrumento; e
però fece costruire un nuovo elettroscopio fondato su di un principio che non
era stato mai applicato in simili istrumenti.
Doveva egli per la prima volta farne mostra
solenne a questa nostra Accademia in una delle sue prossime tornate; ma
l’immatura e repentina morte di lui, e la fidanza di cui egli mi onorò
mostrandomi l’istrumento quando tutti ne ignoravano anche il principio sul
quale era fondato, imposero a me il dovere di adempiere, benché
imperfettamente, quell’onorevole, ma tristo ufizio.
(*) Due conduttori, uno elettrizzato e l’altro semplicemente isolato, messi tra
loro vicini e divisi solo da un piccolo strato di aria, costituiscono un
sistema non diverso in sostanza da quello che offre una boccia di Leida di cui
l’armatura che patisce l’influenza non è stata messa in comunicazione col
suolo. Il vero meccanismo della natura nelle azioni e reazioni elettriche è
involto in dense tenebre; ma mi parrebbe molto strano se si ammettesse, nel
caso della boccia, del quadro magico, del condensatore, ecc., una reciproca
forza dissimulante che mantiene nello stato latente e senza tensione due
porzioni di contraria elettricità, e si escludesse del tutto nel caso testé
allegato. La conseguenza logica che emerge dai fatti e dalle dottrine adottate
da tutti i fisici intorno all’elettricità dissimulata indipendentemente da
nuovi esperimenti, è appunto, se una forte illusione non m’inganna: che il
corpo attuante svolga ed attiri dal corpo attuato tanta elettricità contraria
quanto può mantenerne nello stato latente e senza tensione.
…
A. Secchi – Necrologio di Macedonio
Melloni[2]
Quando l’illustre
fisico e sublime decoro d’Italia scriveva queste parole non sospettava
certamente il fatal colpo che nel più bel fiore dovea troncare i suoi giorni.
Il terribile morbo Colèra tra tante vittime che miete in Napoli, non ha
risparmiato questo lume della patria nostra, che soccombette alla forza del
male nella notte del 10 corrente. Di sì bello
ingegno non è mestieri far lodi che riuscirebbero poche al merito, solo ad
aggravare la nostra afflizione ci rimane la notizia che esso stava preparando ai
fisici nuove scoperte, e tra esse uno strumento più prezioso del condensatore.
Quanto abbiamo a rammaricare questa perdita nelle
attuali circostanze, lo mostrano gli splendentissimi lumi con cui esso aveva
cominciato a illustrare l’elettrostatica, che forse nelle sue mani sarebbe
divenuta una nuova scienza, come la teoria del calor raggiante. Onorato della
corrispondenza di questo illustre scienziato cui potei conoscere, e trattare
personalmente nell’ultimo autunno nella bella e ora afflitta Napoli, e congiunto
a lui per vincolo di quasi concittadinanza, mi sia lecito di dare questo piccol
tributo di affetto e di stima ad uno quanto celebre altrettanto sventurato
amico.
[1] Stralcio (pp.
60-63 dell’estratto) dell’Elogio
storico di Macedonio Melloni recitato nella Reale Accademia di Scienze di Napoli nella tornata del 1° dicembre 1854 dal socio ordinario Antonio Nobile. Pubblicato nel Rendiconto della Società Reale Borbonica,
1856.
[2] Corrispondenza
Scientifica in Roma, Bullettino
universale, 1854, p. 223.