Crittofonie Mnemoniche

  

Supponiamo di ascoltare casualmente alla radio, mentre ad esempio si cerca una stazione, le parole unità di superficie. Ci può essere qualcuno in grado di stabilire se tale breve frammento sonoro faceva parte di un programma sulla Marina Militare o di una lezione di fisica?

A questa curiosa domanda penso che molti risponderebbero "no!", e que­sto perché, essendo del tutto identica la grafia delle due espressioni, sono portati ad equipararle anche sul piano fonico (per una sorta di de­formazione professionale derivante dall'alfabetizzazione). Ma gli amici enigmisti, almeno quelli che non ignorano le origini poetiche delle crit­tografie mnemoniche, avranno già intravisto che qualche diffe­renza potrebbe esserci: il ritmo più o meno serrato, l'eventuale sotto­fondo, la miriade di dettagli di pronuncia che, sia pure quasi impercet­tibilmente, tradiscono il contesto cercato e che costituiscono il tono (in senso lato) del discorso. D'altro canto però, pensando che una parola non si può pro­nunciare due volte di seguito in modo del tutto identico, ci si accorge ben presto che le differenze in oggetto diventano in buona parte casuali e addirittura troppe, tanto da impedire, e a maggior ragione, qualunque so­luzione dell'enigma crittofonico proposto.

Invece una possibilità esiste, ed è stata trovata negli anni cinquanta da Mario Lucidi, uno scienziato quasi cieco il cui genio lo induceva ad occuparsi di tutto lo scibile (ivi compresa l'enigmistica, a quanto mi ha testimoniato l'amico Muscletone), ma sopratutto di prosodia. Lo scrivente, essendo venuto a conoscenza, per una serie di circostanze a volte fortu­nate, di alcuni lavori del Lucidi (per lo più inediti, finora), sta da tempo dedicando le sue energie ad interpretarli, pur nella consapevolezza che i propri limiti gli impediscono di rendere in pieno, e nel modo più degno, il pensiero del Maestro.

Ebbene Lucidi, mentre qualcuno generosamente gli leggeva testi o poesie dei classici, era capace, grazie ad una sensibilità senz'altro non co­mune, di "auscultare" i segreti e dimenticati palpiti della loro musica. Da questo godimento estetico egli però seppe trarre, sulla scorta di col­laterali studi di linguistica teorica, addirittura - a mio avviso - le vere leggi (quantitative) della parola. In particolare gli riuscì di iso­lare dall'enorme numero di variabili che accompagnano la fonazione (du­rata, intensità, frequenza, formanti, armoniche, timbro, inflessioni dia­lettali, distribuzione spettrale dell'energia, ecc.) una nuova grandezza, la tensività fonica, che può assumere solo i due livelli, rilevabili strumentalmente, di intenso o estenso.

Questa tensività dipende dal valore semantico che il parlante in­consciamente dà a ciò che pronuncia: quando una parola è detta in piena consapevolezza, con vigilanza, essa funziona ed è intensa, operativa, vi­gorosa, ridondante, con feedback (esempio tipico: una interiezione); quando invece il parlante attribuisce alla parola una importanza seconda­ria, ciò viene tradito dalla pronuncia estensa: la parola non funziona, è rilassata, quasi sonnecchia, è detta mnemonicamente, a pappagallo, senza feedback (esempio tipico: una formula matematica). La spiegazione po­trebbe essere estremamente semplice: così come, di norma, non siamo co­scienti dei battiti del cuore o del respiro, analogamente non percepiamo il pulsare dell'attenzione (anch'esso regolato da un metronomo a frequenza infrasonica) che è da presumere poggi ciclicamente sul sistema nervoso centrale e su quello vegetativo.

Mi rendo conto che è difficile (o "rischioso") accogliere queste teorie (io stesso ho impiegato molti anni per venirne a capo), specie dalla sola lettura di questo rapido articolo, al cui scopo ben più leggero torneremo tra poco; tuttavia posso assicurare che non si tratta solo di ipotesi (come mostrerò in un libro, dal titolo provvisorio di Etica e Fonetica, che terrà anche conto del feedback e dei commenti al presente scritto[1]), aggiungendo soltanto che mi pare di poter ravvisare osservazioni in certa misura convergenti nella Linguistica Operativa di Silvio Ceccato e nella dottrina di Tullio De Mauro, del quale segnalo, oltre alle non rare ri­prese dell'iposema di Lucidi - che corrisponde alla ipotonia delle estense - sopratutto un fondamentale e lucido saggio sul rapporto (molto più stretto di quanto anch'io ero portato a credere) tra parola scritta e pa­rola parlata, l'unico lavoro, per quel che mi è dato di sapere, in cui si osi un cenno alle teorie prosodiche del Nostro (in Senso e Significato, Bari 1971).

Un modo meno scientifico, e forse più efficace, per affrontare il pro­blema è comunque quello di usare le segnalate ambiguità foniche nel TOTOTONO, gioco che, pur avendo una vasta gamma di realizzazioni, ha però il "difetto" di rifuggire la carta: bisogna giocarlo alla radio o in televi­sione (magari con la regia di Giuseppe Aldo Rossi!). Si tratterebbe in so­stanza di dare (o ridare) vita al "corpus" di mnemoniche messoci a dispo­sizione da Comerci e Cosmai[2], scegliendo le più adatte ad essere "sceneg­giate" in brevi filmati o registrazioni (utilizzabili, perchè no, anche come spot pubblicitari). Verrebbero trasmesse prima due "scenette" conte­nenti ognuna la frase bisenso nel proprio contesto (in modo che gli ascol­tatori capiscano i due significati diversi) e poi il solo spezzone con la crittofonia vera e propria. Ascoltando ad esempio formazione di calcio, i solutori devono percepire, dalle sfumature tonali e dalla descritta tensi­vità, se tale frase è stata tratta dal filmato sportivo o dalla reclame del detersivo. Il gioco potrebbe essere articolato in una serie di critto­fonie (anche 13, per analogia col Totocalcio) in modo che un giorno qual­cuno possa diventare miliardario centrando (e non con la fortuna!) una schedina del Tototono!

Ser Dante

 



[1] Questo libro a tutt’oggi non è stato scritto.

[2] Italiano a doppio senso. Antologia di crittografie mnemoniche. Bari, 1983