75 - Sugli equivoci, semplici e doppi

 

 

 

Il linguista Gianluigi Beccaria, ultimo di una piccola schiera, mi prega laconicamente di non mandargli più email. In altri tempi mi sarei irritato e avrei continuato a inviargli queste Morse News, ribattendogli che la natura spesso linguistica delle stesse doveva istituzionalmente interessarlo e che comunque la mia “spazzatura” poteva cestinarla del tutto automaticamente. Ora però, anche grazie all’ultimo disteso colloquio con De Mauro, mi sono reso conto che tale mio comportamento avrebbe a sua volta e ancor di più irritato il mio interlocutore, senza disinnescare affatto la catena di incomprensioni che circondano la mia persona e quindi, malvolentieri, preferisco assecondare la volontà dell’insigne docente depennandolo dalla mia lista (ma non dalla mia considerazione).

Questo piccolo incidente mi dà lo spunto per alcune riflessioni sugli equivoci, spessissimo subdoli e inavvertiti, che si insinuano nei rapporti umani, a volte persino insidiando la civile convivenza. La commedia di Plauto, la farsa, la semplice barzelletta sono intrise e alimentate da equivoci che, proprio perché riconosciuti, risultano gradevolissimi. Diametralmente opposto è il caso il cui l’equivoco non è né rivelato né soprattutto rilevato da uno o da entrambi i corrispondenti: ci si offende, si litiga, ci si ammazza. Accennerò a quattro casi di questi doppi o reciproci equivoci.

Il primo è quello dell’arbitrarietà del segno linguistico che un giorno del 1950 Mario Lucidi capì di botto e che poi diede il titolo ad uno dei suoi scritti (L’equivoco de “l’arbitraire du signe”. L’iposema).

Il secondo è quello del “disdegno di Guido”, relativamente famoso, ma insufficientemente compreso se non si è letto l’articolo di Lucidi di cui qui in apertura riporto due stralci (da Cultura neolatina, 1954). Portare sui banchi delle scuole queste pagine esemplari non potrebbe che far bene alle nuove generazioni, oltre ad onorare nel mondo la cultura italiana.

Il terzo, anche questo doppio, quello tra lo scrivente e l’ingegner Tonio Di Stefano a proposito del Bitnick e che ho rilevato, anch’io pressoché di botto, solo un paio di anni dopo (vedi Il Bitnick incompreso).

Il quarto, recentissimo e temo solo unilateralmente compreso, tra lo scrivente e un accademico che, per opportuno riserbo, chiamerò X***. Un paio di anni fa, nell’ambito delle mie ricerche su Buccola e per suggerimento del professor Mauro Antonelli, telefonai a X*** e rimasi profondamente colpito dalla gratuita scortesia, per non dire insolenza, del mio interlocutore. Quest’atteggiamento lo attribuii alla nomea che qualcuno, forse il De Mauro, mi aveva affibbiato. Circostanze fortunate, giorni fa, dopo che l’atteggiamento di X*** nei miei confronti persisteva invariato malgrado una mia diffusa “riabilitazione”, mi hanno però aperto gli occhi: De Mauro, almeno e certamente in questo caso, era incolpevole, l’astio di X*** aveva altre cause (derivanti, c’è da scommetterci, da altri equivoci!).

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