40 – Il calcio di Martin

 

            

 

Nella storia della telegrafia – o dell’elettrotecnica tout court (vedi AG 12) – il pendolo di Pohl della News 38 ha infinite variazioni sul tema dei contatti che si chiudono e si aprono automaticamente, a cominciare dagli storici campanelli elettrici “a trembleur”. Si fa presto, però, a dire apertura (break) e chiusura (make) dei “contatti”: in realtà c’è modo e modo di aprire e chiudere contatti e il classico tasto Morse ne è l’esempio più eclatante.

Su questo concetto fondamentale, indiscutibile e in generale mal compreso possono gettare qualche luce i tasti o “trasmettitori telegrafici” inventati da Horace G. Martin, un nome ai radioamatori ben noto per i “bug” o tasti semiautomatici Vibroplex. La storia di Martin è raccontata nel magnifico sito di J. Casale, mentre la descrizione del brevetto di Martin (n. 732648, del 30 giugno 1903) di cui qui ci occupiamo si può trovare nel sito United States Patent Office.

Nella foto del prototipo di Martin notiamo in alto a destra l’elettromagnete, costituito, com’era usuale, da due rocchetti, mentre nel corrispondente schema elettrico, per semplicità, ne è disegnato uno solo. Mediante il tasto speciale tipo “deviatore” a due contatti (in basso a destra nella foto) l’elettromagnete si può energizzare in due modi: permanentemente, spostandolo a sinistra (per le linee) e alternativamente, spostandolo a destra (per i punti). In questo secondo caso l’armatura, appena attirata, “dà un calcio” al pendolo orizzontale (sbarretta in alto a sinistra) e questo, allontanandosi con più o meno violenza, interrompe il circuito smagnetizzando l’elettromagnete; non appena armatura e pendolo ritornano alla posizione iniziale il ciclo si ripete.

Per capire meglio questo automatismo leggiamo le parole di Martin:

“La mia invenzione riguarda i trasmettitori telegrafici e si propone essenzialmente di fornire uno strumento che mantenga tutti i meriti del tasto Morse, ma che sia costruito in modo da fare tutti i punti automaticamente, lasciando in facoltà dell’operatore di prefissare la lunghezza dei punti e mantenendo totalmente sotto il suo controllo la lunghezza degli spazi e delle linee – vale a dire, l’operatore può allungare o accorciare i punti, lasciando sotto il suo controllo gli spazi e le linee, oppure allungare gli spazi e le linee a volontà, mantenendo fissi i punti. La mia invenzione, in altre parole, fornisce un semplice ed efficace sistema di trasmissione che evita del tutto l’intenso sforzo nervoso del tasto Morse pur mantenendone i pregi.

È ovviamente ben noto che le lettere del sistema Morse consistono di punti, spazi e linee.

Per esempio  [NdT - nel Morse Americano]: 

la lettera  P  consta di  punto, punto, punto, punto, punto;

la lettera  C  consta di  punto, punto, spazio, punto;

la lettera  B  consta di  linea, punto, punto, punto.                   

Come esempio di dispendio di forza nervosa richiesta a un operatore dal sistema Morse si può dire che la parola Mississippi richiede 32 pressioni del tasto e 32 rilasciamenti di pressione, ossia di movimenti all’insù. L’operatore per ogni parola media trasmessa deve fare 24 sforzi nervosi. Un operatore che trasmette 15.000 parole in 8 ore, come molti fanno, è costretto a premere il tasto 180.000 volte e a rilasciarlo per altre 180.000 volte (movimenti di ritorno) – cioè una media di 360.000 sforzi nervosi in 8 ore. Il risultato è che spesso gli operatori perdono del tutto il controllo del loro tasto, divenendo vittime di quella che è nota come “paralisi del telegrafista”. Infatti è fuori discussione che il terribile sforzo nervoso della trasmissione a moderata velocità col tasto Morse porta a vari disturbi dei sistemi fisici, mentali e nervosi, e, inoltre, che quando la capacità di chi trasmette inizia a venir meno lo sforzo di chi riceve è molto più grande.

I predetti inconvenienti hanno portato a vari mezzi per diminuire lo sforzo nervoso di chi trasmette e per aiutare gli operatori negli stadi iniziali della paralisi del telegrafista, mezzi più o meno efficaci, ma tutti rimasti ancorati al fondamentale principio del tasto Morse, con l’eccezione del sistema a tastiera, le obiezioni al quale sono talmente note che non occorre menzionarle.

In pratica i buoni operatori Morse enfatizzano la loro trasmissione come fa con le parole una persona che parla. La condizione del filo richiede l’enfasi di certe lettere, o parti di lettere, alla volta, mentre l’operatore si basa sul “feel(sensazione tattile, feeling) del filo nell’istante in cui una lettera, o una sua parte, deve essere formata e sull’abilità di chi riceve. L’enfasi è ottenuta quasi interamente allungando o accorciando le linee e gli spazi, mantenendo costante la velocità dei punti. È una importante caratteristica della presente invenzione che l’operatore può mantenere questo perfetto controllo dello strumento e la possibilità di enfatizzare la sua trasmissione, mentre al contempo si può produrre un qualsiasi numero di punti con un solo sforzo nervoso. Poiché vi sono operatori di tutti i tipi, si è trovato che il miglior tempo può essere ottenuto trasmettendo in un modo a un operatore e in un altro modo ad altri, dipendendo i differenti stili di trasmissione non tanto dalla velocità di trasmissione globale quanto dalla variazione di certi impulsi nel fare linee, e anche dall’abilità di variare la velocità di parole o parti di parole. Queste caratteristiche, e altre simili, sono state la roccaforte del tasto Morse e la causa del fallimento pratico di tutti i trasmettitori automatici sinora progettati.

Per mettere in grado gli operatori di aumentare molto la loro velocità di trasmissione con un minor dispendio di forza nervosa, e per metterli in grado di trasmettere, a una velocità ordinaria, molto più facilmente di quanto finora è stato possibile, e permettere agli operatori colpiti dalla paralisi del telegrafista che in pratica con un ordinario tasto Morse sono incapaci di fare un buon lavoro, ho progettato un nuovo trasmettitore telegrafico…

 

(per la descrizione particolareggiata vedi il testo del brevetto)

 

Questo mio nuovo trasmettitore telegrafico si usa così: supponiamo, per esempio, che si debba fare la lettera B che è composta da una linea e tre punti. Si sposta la leva sul lato sinistro (lato linee) e la si tiene in questa posizione per il tempo adeguato; indi si sposta a destra (lato punti) e la vi si tiene finché il vibratore produce tre punti. In pratica l’operatore dipende dal suo orecchio per sentire quando il numero appropriato di punti è stato prodotto. Questo può essere fatto con grande esattezza, persino da un principiante. La velocità dei punti e la loro lunghezza può essere cambiata variando la tensione delle due molle dello schema e lo “sbraccio” dell’armatura. La variazione di ognuno di questi tre parametri influisce sull’intensità e sulla fase della spinta (calcio) data al pendolo e lascia ampia libertà di regolazione secondo le preferenze dell’operatore”.

Questo trasmettitore di Martin, poco pratico anche perché richiedeva una alimentazione a parte, fu presto soppiantato dallo stesso Martin con bug del tutto meccanici. Spero che l’amico Claudio Tata, che colleziona e conosce come pochi questi dispositivi, ce ne possa dare una descrizione sintetica che ne colga però l’essenza.

 

Intervento di Cavina (13.6.04)

A prima vista questo calcio di Martin mi pare l'antesignano del flipper anni '50…

 

Intervento di Tata (14.6.04)

Dopo aver letto le parole di un "grande" come Horace Martin, qualsiasi mio scritto al riguardo apparirà senz'altro banale. Intendo per prima cosa confermare che in quegli anni c'era una forte tendenza a realizzare attrezzi di tipo "stand-alone", non credo infatti che fosse facile trovare in ogni dove una presa di corrente come accade ai nostri giorni: per questa ragione la tendenza tecnica di Horace Martin è irrimediabilmente scivolata verso una struttura di tipo meccanico.

Non per questo si deve pensare che egli ha scelto la via più "rozza", tutt'altro, le sue chiavi semiautomatiche sono autentiche opere di genio della meccanica, sono dotate di solide radici che si rifanno a sopraffini principi della fisica e che offrono a chi ne fa uso infinite possibilità di adattamento e ampia facoltà di espressione nell'arte della pratica del codice Morse.

Con abile tocco ingegneristico, pur senza privare i suoi Bug di nulla, Horace Martin è stato in grado di ridurre all'essenziale le sue realizzazioni, rifacendosi ad un principio coniato sempre in quel periodo da un grande della meccanica (Ford) che era solito dire: tutto quello che non ci metti, non potrà rompersi.

 

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