8 – L’ingombro del significato

Una trentina di anni fa, per merito di Angelo Maria Ripellino, uscì anche in Italia lo strano racconto “Hobby” del boemo Jiri Fried. Non posso né voglio recensirlo – non è il mio mestiere, eppoi il libro credo si possa trovare ormai solo nelle biblioteche o in qualche bancarella di Remainders – ma per apprezzare e capire a fondo le poche parole che ne dirò sarebbe auspicabile che i lettori di queste Lucidi News conoscessero direttamente l’opera o quanto meno ne leggessero le due recensioni che allego in calce (rispettivamente da Paese Sera, 9.1.76 e La Stampa, 13.2.76).

Al tempo in cui era la calligrafia “la porta degli impieghi” - e non il computer come oggi - un modesto “ufficiale di scrittura” o un anonimo impiegato ministeriale, come diremmo oggi, ha un hobby segreto, una passione morbosa e irrefrenabile per la scrittura intesa come semplice atto fisiologico, pappagallesco e avulso da qualsiasi valore semantico “aggiunto”. Per il nostro copista anzi, si badi bene, il significato è un disturbo, un ingombro, un fastidio per la scorrevolezza dei segni grafici che egli gode a lasciare sulla pagina bianca con la sua preziosissima Waterman.

Questo romanzo, probabilmente autobiografico – i riferimenti alla realtà sono troppo precisi: il luogo, i tempi, la terminologia calligrafica, la Gestapo, ecc. –, è in realtà un saggio e a chi sa e vuole leggerlo con attenzione svelerà non pochi segreti, ad esempio sulla firma, sul rapporto inchiostro/carta e addirittura sulla metrica, segnatamente quella di Poe.

 

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