73 – Logografi e Fonografi

         

 

Caro Di Trocchio (e p. c. Chiarissimo De Mauro e cari accademici),

dopo De Mauro (Cap. 1, 2, 4) e Dragoni (Cap. 5) presento a Lei il Cap. 6, Logografi e Fonografi, del mio prossimo Atomo Il segno tecnificato.

Lei mi ha già privatamente detto di non avere la competenza e, soprattutto, il tempo per “affiancarmi” nella mia battaglia scientifica. Pur convinto che lei, per modestia, sottovaluti le sue competenze, e ovviamente rispettoso, come sempre, delle sue decisioni, ardisco pregarla di indirizzarmi, almeno, a qualche altro accademico che possa siglare una revisione di massima del mio opuscolo.

Rileggendolo da solo mi accorgo di piccole o grandi manchevolezze e cerco di rimediare con delle News integrative, che in pratica hanno la stessa funzione delle note. Ad esempio, rileggendo il capitolo qui in calce, mi sono accorto che il lettore probabilmente non sa niente della macchina parlante di Faber e allora ho provveduto con la precedente Lucidi News (lo stesso farò per il fonografo a pedale).

Grazie e cordiali saluti. Gaeta

(P.S. – Per non appesantire questa email lo allego solo a lei in formato Word, enormemente più efficace per la lettura. A richiesta lo posso inviare però a chiunque).

 

6. Logografi e Fonografi

Nell’enciclopedia Treccani, mi pare, la voce “fonografo” rimanda a “grammofono”. Non è che le due macchine vengano confuse o assimilate tout court, le differenze principali[1] sono senz’altro evidenziate, ma mi sembra un sintomo eloquente della superficialità in genere riservata allo studio tecnico-storico della riproduzione sonora.

Per prima cosa converrebbe sgomberare il campo dalla confusione tra produzione e riproduzione sonora, che possono rispettivamente farsi risalire alla macchina parlante di Faber[2] e al fonografo di Edison. Il primo affrontò il problema dal versante più complicato, quello fisiologico, cercando di riprodurre le cause meccaniche della fonazione, il secondo invece, genialmente, si limitò agli effetti delle vibrazioni sonore, senza curarsi né della loro sorgente né tanto meno della loro natura[3]. Un’altra distinzione basilare riguarda poi i fonografi “parlanti” e quelli soltanto “scriventi”. Questi ultimi, molto numerosi e ovviamente anteriori al fonografo di Edison (disegno a destra), li chiameremo, per chiarezza didattica, “logografi” (disegno a sinistra[4]), anche perché queste macchine erano principalmente finalizzate ad usi stenografici, cioè alla registrazione automatica della voce degli oratori[5].

Il 30.4.1877 Charles Cros, un insegnante di sordomuti (anche lui!), aveva depositato all’Accademia Francese delle Scienze uno scritto sigillato relativo ad un apparecchio che avrebbe permesso di riascoltare la voce dei morti, o dei moribondi, e denominato per questo “paleofono”. All’apparizione del fonografo Cros cercò di rivendicare la priorità, almeno, dell’idea di una registrazione fonoautografica fotoincisa (cliché, clichage), sia in rilievo che in intaglio, che poteva utilizzarsi per riprodurre il suono originale facendo “reagire uno stilo su un diaframma”. L’abate Leblanc tentò anche di realizzare l’idea di Cros, ma questi comunque morì in miseria, nell’oscurità[6].

Essenzialmente, si badi, questi logografi, fonoautografi, fonoautoscopi, paleofoni, chimografi, ecc. erano basati sull’idea dello scrittore di pronuncia, quindi è naturale che i loro diaframmi, stili, setole di cinghiale, ecc. lasciassero segni orizzontali[7]. Edison invece aveva in mente un pronunciatore di scrittura, essendo partito dalle vibrazioni verticali di una membrana del tipo del telefono Bell[8]. Le due immagini seguenti illustrano queste “modulazioni”, rispettivamente, orizzontale e verticale:

   

C’è di più: le membrane di Barlow, Scott, Cros, Rosapelly, ecc. e successivamente, anche di Berliner (grammofono), Bell e Tainter (grafofono), Lioret (lioretografo di celluloide), ecc. e, almeno parzialmente[9], del secondo Edison (cioè il “fonografo perfezionato”, a cilindri di cera, del 1888), con i loro snodi, leve, squadre a L, ecc. registravano in realtà un mix di pressione dell’aria, vibrazioni sonore e, soprattutto, vibrazioni proprie[10]. Invece, come vedremo, le membrane del primo Edison (alcune raffigurate qui sotto), malgrado l’apparenza, non registravano nessuna vibrazione!

              

 

 

 

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[1] Vedi Lucidi News (passim) e, specialmente, Lucidi News 69.

[2] Vedi Lucidi News 72.

[3] Vedi A. Niaudet, Téléphones et Phonographes, Parigi 1878.

[4] A rigore questo disegno, da P. Blaserna, La Teoria del suono, Milano 1875, raffigura il celeberrimo fonoautografo di Scott e non il logografo di Barlow, di cui non mi è riuscito di rintracciare un disegno. Queste due macchine scriventi,  o “fonografi muti” che dir si vogliano, sono però del tutto assimilabili.

[5] Superando, per esempio, le complicazioni del glossografo Gentilli (vedi Lucidi News 14).

[6] Vedi T. Du Moncel, Le Téléphone, le Microphone et le Phonographe, Parigi 1878.

[7] Su supporti di nerofumo:

[8] Si ricordi anche il “giocattolo filosofico” (fonomotore o vocal engine, vedi Lucidi News 11) inventato da Edison in contemporanea col suo fonografo!

[9] Perchè ha uno stilo inclinato. Vedi O. D. Chwolson, Traité de Physique, Parigi 1908, I, p. 1054.

[10] Si vedano, per esempio, E. W. Scripture, Speech curves (1905), V. Cocco, Membrane ecc. (1940), ecc.