70 – La mano armata

 

 

Chiarissimo De Mauro e cari amici accademici,

incollo in calce (e lo allego anche impaginato in formato Word) il quarto capitolo del mio Atomo di imminente uscita Il segno tecnificato. L’iposema di Lucidi.

I primi due, come spero ricorderete, li ho anticipati in Lucidi News 68; il terzo, La mano nuda, lo invierò, assieme agli altri otto, a chi mi userà la gentilezza, almeno, di una revisione formale dell’intera opera, che vorrei licenziare in una forma il più possibile consona al contenuto.

Ringrazio molto. Cordialmente. Gaeta

 

N. B. – Unicamente a scopo, o per “diritto”, di cronaca aggiungo che, salvo sparutissime eccezioni, gli unici riscontri a queste comunicazioni preventive mi stanno pervenendo da ambienti extraccademici.

 

 

 

4. La mano armata

Se la scrittura a mano può sembrare nuda, la scrittura a stampa, a stampatello, dattiloscritta, “videoscritta” al computer è con ogni evidenza artefatta, “armata”. Dal prosieguo comunque emergerà l’aspetto “tecnificatoanche della manoscrittura, conseguenza diretta e imprescindibile della (lucidiana) “funzionalità” dell’alfabeto. Intanto ecco una mia traduzione, alquanto libera, di un notevole brano di Heidegger[1] sulla Schreib-machine (il prototipo è quella di Nietzsche qui raffigurata, v. nota 2).

Non è un caso che l’uomo moderno scriva “con” la macchina da scrivere e “detti” (dichten = poetizzi) “dentro” la macchina. La “storia” del modo di scrivere è una delle principali ragioni della crescente distruzione della parola, che non viene più scambiata tramite la mano che scrive, la mano che agisce propriamente, ma tramite la sua impressione meccanica. La macchina da scrivere sottrae la scrittura all’ambito essenziale della mano, cioè il regno della parola, che diviene una cosa “battuta a macchina” (typed). Quando invece la dattiloscrittura è solo una copia (trascrizione) che serve per la conservazione della scrittura, o sostituisce la scrittura al posto della “stampa”, in questo caso ha una certa ragion d’essere. Nei primi tempi della diffusione della dattiloscrittura scrivere una lettera a macchina era considerato maleducazione, oggi una lettera manoscritta è una cosa antiquata e indesiderata, disturba la velocità di lettura. La scrittura meccanica destituisce la mano dal rango della scrittura che le compete e degrada la parola ad un mezzo di comunicazione. La scrittura meccanica ha poi il “vantaggio” di nascondere la grafia  e quindi il carattere. La typewriter ci fa apparire tutti uguali. 

Quando la scrittura è sottratta alla sua origine naturale, cioè alla mano, e delegata alla macchina, avviene una trasformazione nel modo di essere dell’uomo, per quanto poca possa essere la gente che di fatto usa la macchina da scrivere, o se addirittura qualcuno la aborre. Non è un caso che l’invenzione della stampa coincida con l’inizio dell’epoca moderna. I significanti diventano “tipi” e il “colpo di penna” scompare. I tipi vengono “composti” e la composizione viene “impressa”. Questo meccanismo di comporre, imprimere e stampare (setting, pressing e printing) è l’anticamera della macchina da scrivere. Nella macchina da scrivere troviamo l’irruzione del meccanismo nel regno della parola. La macchina da scrivere riporta anche alla macchina compositrice. La stampa diventa rotativa. Nella rotazione viene alla ribalta il trionfo della macchina. Al principio, invero, libro stampato e indi macchina da stampa offrono vantaggi e convenienze, indirizzando improvvisamente esigenze e bisogni verso questo genere di comunicazione scritta. La macchina da scrivere vela l’essenza della scrittura e della manoscrittura, sottrae all’uomo l’essenziale dignità della mano, senza che egli si renda conto di tale sottrazione e che riconosca che qui è già mutato il riferimento dell’Essere alla sua essenza.

La macchina da scrivere è una nube senza segni, un annebbiamento che, pur con tutta la sua invadenza, si sottrae, dando luogo al mutamento del riferimento dell’Essere alla sua essenza. Di fatto essa è senza segni, non si mostra nella sua essenza; e forse è per questo che molti di voi, come prova la vostra reazione, non avete afferrato quello che io ho cercato di dire.

Questa non è una disquisizione sulla macchina da scrivere in se stessa, cosa che sarebbe fuori luogo parlando di Parmenide. Il mio tema era la relazione moderna (trasformata dalla macchina da scrivere) tra la mano e la scrittura, cioè con la Parola, ossia il non occultamento dell’Essere. Una meditazione più approfondita sulla Rivelazione e sull’Essere non ha semplicemente un po’ a che fare col poema didattico di Parmenide, ma vi ha a che fare del tutto. Nella macchina da scrivere la macchina, la tecnologia, appare in un rapporto quasi quotidiano con la scrittura, ossia con la Parola, con l’Essenza caratterizzante dell’uomo, e quindi rimane inavvertito e privo di segni. Una considerazione più penetrante dovrebbe portare a riconoscere che la macchina da scrivere in realtà non è una “macchina” nello stretto senso di macchina tecnologica, ma è una cosa intermedia tra un utensile e una macchina, un “meccanismo”. La sua produzione, in ogni caso, è condizionata dalla tecnologia delle macchine.

Questa “macchina”, che opera nella più stretta vicinanza alla parola, è in uso, si impone all’uso. Anche laddove non venga impiegata essa esige che la si tenga comunque nel massimo riguardo, nel senso che è ad essa che si rinuncia, è essa che viene evitata. Questa situazione si ripete costantemente ovunque, in tutte le relazioni dell’uomo moderno con la tecnologia. La tecnica è (entrenched) nella nostra storia, non la possiamo far sloggiare.

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[1] Tratto dal suo Parmenide. Non essendo in grado di leggere il tedesco, specie poi la profonda e astrusa prosa di Heidegger!, mi sono aiutato con la versione italiana di F. Volpi e quella inglese dal Kittler (cit.).