48 – Prosodemi, tensività e tensione

 

 

Riproduco il lavoro incompiuto di Mario Lucidi apparso in Ricerche linguistiche, V, 1962, a ruota del necrologio scritto da Antonino Pagliaro (vedi Lucidi News 46). È stata la lettura di questo geniale saggio a spingermi, oltre venti anni fa, alle ricerche fonetiche e su Lucidi.

 

In attesa di trovare un nome specifico, a proposito della sillaba accentata, per la sua vocale, per le consonanti che la precedono e per quelle che la seguono, diremo rispettivamente "vocale, preconsonanti e postconsonanti". Tutte le vocali o sono “intense” o “estense”. La tensività consiste probabilmente in una diversa distribuzione dell'energia articolatoria e cioè la vocale può essere o leggermente più lunga e quindi di articolazione meno energica (estensa) o di articolazione più energica e breve (intensa). Un riflesso dell'articolazione, rispettivamente meno e più energica, si risente anche nelle preconsonanti e, sia pure leggermente, nelle sillabe precedenti a quelle accentate. Per avere un'idea della differenza provocata dalla sola tensività in un iposema in cui rimangano costanti gli altri prosodemi, basta parlare ad alta voce con se stessi domandandosi e rispondendosi rispettivamente:

Che turno fai? Di notte

Che turno hai? Di notte

La parola notte presenterà nei due casi identici tutti gli altri prosodemi meno la tensività. Nel primo caso si avrà in notte o estensa. Nel secondo caso si avrà o intensa. L'esperimento rimane anche più efficace, se si esegue bisbigliando la frase con la minima energia possibile. Si avvertirà allora l'estensa come qualcosa di assolutamente non resistente e piuttosto prolungato e, in contrasto, l'intensa come un'entità puntiforme frenata. La tensività è il prosodema fondamentale che garantisce la relazione lineare nel sema. Un iposema può essere sottratto alla tensività solo pronunciandolo isolato e senza pensarlo o facente parte di una frase o equivalente ad essa. Il tipo di espressione in cui la tensività è l'unico prosodema è la numerazione cardinale fatta partendo da zero, appunto perché siamo in un campo relazionale puro, dove non intervengono ancora nessi logici e si ha soltanto la relazione lineare della numerazione. Lo zero e tutti i pari sono intensi, i dispari estensi (asserzione). Formulando la sequenza ordinale zeresimo, primo, ecc. zeresimo è estenso, primo è intenso e così via (constatazione). Nel formulare le due serie bisogna evitare di pronunciarle come se si ripetessero a memoria, perché altrimenti si ha un risultato opposto a quello prospettato qui, e ciò in virtù della norma seguente che vale per qualunque grado di lingua: quando si riferisce il pensiero altrui, si notifica ciò invertendo la tensività di tutti i prosodemi.

Le relazioni di tensività sono elemento determinante nell'individuazione sia morfologica sia lessicale. Dal punto di vista lessicale possiamo osservare, ad esempio, il verso dantesco Tale scendeva l'eternale ardore dove rispettivamente abbiamo:

scendeva estenso

eternale intenso

ardore estenso.

Se noi sostituiamo scendeva con cadeva le altre tensività si invertono e ciò non dipende dalla contingenza del sema, ma si ripete puntualmente in qualunque frase, a parità di altre condizioni, si faccia una sostituzione analoga. Esempio:

1)    Quando cadrà la notte, potrete partire.

2)    Quando scenderà la notte, potrete partire

Le due sequenze presentano alternativamente una intensa ed una estensa, ma mentre nella prima l'iposema iniziale (quando) è intenso, nella seconda esso è estenso. Manifestamente la differenza è legata ai due verbi “scendere” e “cadere” e consiste appunto in essa l'elemento formale che corrisponde alla differenza di categoria semantica che li contraddistingue; piuttosto eventiva per il primo e, in certo modo, predicativa per il secondo.

A proposito di differenze morfologiche possiamo citare singolare e plurale. Anche in questo caso due frasi assolutamente identiche, salvo che sotto questo aspetto, presentano tensività diverse:

1) Per la clemenza della stagione i termosifoni rimarranno spenti.

2) Per la clemenza della stagione il termosifone rimarrà spento.

Il plurale termosifoni si presenta estenso e, corrispondentemente con esso sono estensi clemenza e spenti, intensi gli altri iposemi. Il singolare termosifone è, invece, intenso e si hanno in corrispondenza tutte le altre inversioni. Naturalmente le due frasi vanno pronunciate con tono assolutamente chiaro e pacato perché altrimenti, trattandosi di espressioni molto comuni, sarebbe facile cadere nello stile conversazionale, nel quale interverrebbero inevitabilmente altri coefficienti di cui ci occuperemo appresso i quali potrebbero turbare la catena delle tensività. Ho usato il termine catena appunto perché, a parte l'intervento di altri elementi, l'andamento lineare del sema nella lingua non assunta a semplice espressione relazionale è caratterizzato dal regolare alternarsi di intense e di estense.

Già dagli elementi portati risulta chiaro che la tensività come fattore morfologico e lessicale non è un elemento statico che competa all'iposema di per sé, ma un elemento che acquista il suo valore in quanto risultante di particolari combinazioni. Così prendiamo in considerazione i due verbi apparire e spuntare. Essi si trovano di nuovo nella relazione di tensività che abbiamo rilevato in cadere e scendere come risulta dalle due frasi che immagineremo dette in senso constatativo:

1)    Appare il sole

2)    Spunta il sole.

(per motivi tecnici in questa redazione mancano i segni diacritici adottati nel testo)

Ora esamineremo le due frasi:

1)    Quando apparve la stella che attendevano, caddero in ginocchio.

2)    Quando spuntarono le stelle che attendevano, caddero in ginocchio.

Se le pronunciamo dando l'accento principale di frase (apice di tensione; per cui vedi poi) ai due verbi, essi si presentano entrambi estensi, appunto perché si aggiungono l'una all'altra la differenza semantica e la differenza morfologica di cui abbiamo già parlato. È anche interessante osservare che, contrariamente a quanto osservato prima, stella e stelle, benchè differiscano di numero, hanno la stessa tensività. Ciò dipende dal fatto che ci troviamo nella lingua narrativa, dove, come vedremo, la regola citata del rapporto tra morfologia e tensività può valere soltanto per la parola che ha l'apice di tensione, che dà la chiave, mentre per le altre parole le regole diventano diverse e, cioè, se si ha la stessa tensività intervengono però altri elementi, come vedremo appresso. Se noi leggiamo le due frasi ponendo l'apice di tensione su stella e stelle, abbiamo, rispettivamente stella e stella: ci ritroviamo nella solita regola.

Dante, e così i trecentisti prima del Boccaccio (a parte s'intende i casi in cui anche noi usiamo ancora gli articoli lo e li) usano gli articoli lo e li per le estense, il e i per le intense e basta fare un pochino l'orecchio alle due categorie per acquistare un singolare gusto a questa duplicità d'uso, della quale per altro rimangono tracce in frasi stereotipe e antiquate, ad esempio nelle date: li dieci d'ottobre.

Quando il nome è preceduto da preposizione la situazione è più complessa e non ho avuto occasione di studiarla; posso tuttavia dire che con la preposizione per l'uso di lo per l'estensa è normale e ne abbiamo tracce ancora nelle espressioni per lo più, per lo meno. Si pensi al leopardiano per li campi esulta. L'infinito sostantivato normalmente è estenso; è questa la ragione per cui negli scrittori come il Boccaccio, in cui ormai è caduto l'articolo lo, troviamo ancora ad esempio lo dormire. Si capisce che la presenza di due articoli per l'intensa e per l'estensa, limitata com'è al solo maschile, è dovuta a fatti fonetici, provocata dalla differenza di tensività nelle vocali relative; e se si ricorda che già in Plauto ille in certi casi che non si è ancora riusciti a precisare si presentava sincopato è difficile resistere alla tentazione (in illa la cosa non avveniva) di pensare che si tratti di fenomeni analoghi e sarà certo il caso di studiarli perché la differenza di tensività doveva ben aversi pure in latino, anche se diversamente realizzata data la presenza della quantità. Essa vive in francese, dove la differenza tra singolare e plurale in una parola come livre è data non solo e forse (anzi nello stile conversazionale certo) non principalmente dagli articoli, pronunciati con rapidità, ma da una differenza nettamente avvertita nella vocale tonica del nome, la quale differenza non può non essere in rapporto con quanto abbiamo detto su singolare e plurale. Il fenomeno latino presenta un'altra analogia con quello italiano, cioè la scomparsa (almeno in poesia dove è controllabile) nell'epoca che segue le origini della vera letteratura. In un caso e nell'altro si può forse pensare all'influenza della lingua scritta, nel senso cioè che, dipendendo la scelta delle due forme di articolo dalla sola tensività ed essendo questa esposta a mutare non appena dal parlare vivo si passa al riferire e alla riflessione, non è più possibile mantenere netta la distinzione, la quale viene attribuita e generalizzata solo nei rispetti della causa formale più facilmente rilevabile (il padre, lo zaino).

In ogni modo questo è un fatto che va studiato da un punto di vista più vasto, investendo esso anche, ad esempio, la legge di Mussafia Tobler. Può non esservi estranea l'uscita del toscano dai ristretti limiti regionali.

Anche uno invece di un si trova spesso prima di un'estensa e questo specie nel Novellino. Non porto qui esempi danteschi di lo e il solo perché è troppo facile averli a disposizione, qualunque pagina si apra della Divina Commedia. Si pensi solo a

Tu sei lo mio maestro e il mio autore,

Tu sei solo colui da cui io tolsi

Lo bello stile che m'ha fatto onore.

Per rendersi conto qui, come in tutti gli esempi che porterò, della prosodia bisogna naturalmente abituarsi non a leggere ma a recitare; e recitare nel vero senso della parola, cioè non riferendo semplicemente a memoria, ma dicendo con la convinzione sentita di aver capito fino in fondo. Naturalmente la presenza dei vari articoli maschili diviene, fra altri che troveremo più avanti, un elemento essenziale per l'ermeneutica. Così ad esempio all'inizio dell’VIII canto del Purgatorio la famosa descrizione Era già l'ora ecc. si rivela interpretata falsamente nel modo come abitualmente la si intende, per la presenza dell'articolo lo davanti a e il davanti a core. Se che fosse soggetto di volge il desio e intenerisce il core e lo dì fosse un complemento temporale, sarebbe intenso e dovrebbe quindi avere l'articolo il, mentre core e desio, o per lo meno uno di essi, come estenso dovrebbe mostrare l’articolo lo. In realtà il soggetto grammaticale è lo dì (ch’han detto ai dolci amici addio), e che rappresenta un relativo temporale, nella quale (per la terzina successiva vedi avanti).

Se consideriamo le frasi (siamo qui in una fase iniziale, in cui mi limito a far rilevare i singoli prosodemi scegliendo gli esempi con l'unico criterio di una più facile rilevabilità esimendomi quindi sia da una formulazione prosodicamente più adeguata, sia dall'avvertire quali altri fattori accompagnano il prosodema considerato) I lupi sono feroci e I cani sono animali, pronunciate nel consueto tono di una asserzione, per così dire accademica, notiamo in cani e lupi una specie di apice dal quale si torna a discendere nel predicato. Ora, consiste in questo alzarsi e poi tornare a discendere il prosodema essenziale che caratterizza ciò che noi chiamiamo una proposizione. Ad esso daremo il nome di “tensione” o “tenuta di timbro” e avremo precisamente “timbro sostenuto” nel caso di cani e lupi, “timbro rilassato” per quanto riguarda i predicati.

La differenza acustica che ci colpisce, tra timbro sostenuto e timbro rilassato, è senza dubbio legata ad una certa differenza tonale: più alto o “ascendente” il primo, più basso o “discendente” il secondo; e questo noi sentiamo tanto più vivamente quanto più pronunciamo la frase in stile conversazionale. Però non si tratta di una differenza di tono riducibile in termini semplici, come a proposito di due note qualunque emesse con corde diverse. Per questo non abbiamo parlato di tono ma di timbro, ed infatti se consideriamo una frase scelta opportunamente nella quale cioè l'omoteleuto del soggetto e del predicato ci permette di cogliere la differenza tra timbro sostenuto e timbro rilassato, come ad esempio L'amore è traditore (naturalmente la frase va letta di per sé, e non come facente corpo del periodo in cui l'abbiamo posta, altrimenti le tensioni si invertono) avvertiamo la già segnalata differenza tonale, ma essa è ben poca cosa a confronto di quella che otterremmo trasformando la frase nell'altra: Traditore è l'amore. Qui la o di traditore si sente di livello nettamente più alto di quello di amore. Questo dipende da ragioni che vedremo più avanti. L'abbiamo osservato qui per mostrare come la differenza di tono non sia specifica della tensione, ma anzi appaia in quest'ultima assolutamente secondaria se confrontata con il suo estrinsecarsi in altri prosodemi (legati peraltro sempre alla tensione).

E se ora torniamo alla frase L'amore è traditore ci è facile avvertire che la caratteristica essenziale tra la differenza dei due o è una certa sostenutezza della prima o meglio di tutto il primo iposema e un certo corrispondente rilassarsi nella seconda parte della proposizione, quasi che l'articolarsi della frase consistesse in una tensione che va crescendo fino ad un massimo nella prima parte della proposizione per poi tornare allo stadio normale, e la differenza di tono ci sembra quasi un fatto concomitante con questo stato di cose: per questo si è preferito parlare di “tenuta di timbro”.

Del resto qui è necessaria un'osservazione di indole generale. In questa prima esplorazione di un campo ancora nuovo io ho dovuto di necessità procedere ad orecchio perché essendo le variabili tanto numerose e accompagnandosi costantemente a quelle essenziali tutte quelle particolari, dovute a singoli fatti di realizzazione, qualunque analisi strumentale, nella sua fedeltà meccanica e indiscriminante, avrebbe dato risultati non valutabili. Sicché è stato anzitutto necessario isolare le singole variabili in modo intuitivo, con la conseguenza di una certa inevitabile imprecisione e soggettività nel valutarne l'effettiva consistenza fisiofisica. Ora bisognerà incominciare a sottoporre i risultati ad analisi strumentale, sia per avere idee chiare sulla consistenza dei singoli prosodemi, sia per sgomberare il terreno da errori che prevedibilmente mi sarà stato impossibile evitare. La cosa è divenuta ormai possibile perché le nozioni acquisite permettono di orientare l'analisi strumentale isolando i singoli fatti. Va peraltro avvertito più in generale che presumibilmente i concetti di cui dispone presentemente l'acustica non permetteranno di far luce completa sulle varie questioni perché nei rispetti delle due manifestazioni fondamentali del fenomeno acustico, musica e lingua, non si è finora seguita l'unica via per la quale sarebbe stato legittimo indagare su di esse, considerandole cioè, per quel che esse sono effettivamente, vale a dire manifestazioni energetiche in sé conchiuse. Ci si è limitati a esaminare singoli elementi staticamente considerati (una parola, un fonema, una nota, un intervallo). Di conseguenza l'acustica è rimasta ancorata allo stadio iniziale di acustica statica il che è presumibile porterà, quando si studieranno i fenomeni sonori nel loro effettivo realizzarsi conchiuso agli stessi inconvenienti a cui andremmo incontro studiando fatti elettrodinamici con criteri elettrostatici. È quindi evidente che si impone l'instaurazione di un'acustica dinamica nella quale, penso, ciò che abbiamo chiamata “tenuta di timbro” sarà paragonabile a quello che si chiama altrove “livello” o “potenziale”. Non va dimenticato infatti che il tono ha senza meno qualcosa di comune con ciò che noi potremmo intendere con “livello”, ma il fatto stesso che nelle relazioni tonali ciò che conta è il rapporto ci dice come solo dinamicamente si potrà chiarire l'argomento. Va infine aggiunto che fisiologicamente il realizzarsi dei singoli prosodemi andrà studiato di lingua in lingua, perché è da presumere che le relazioni energetiche siano costanti, costituendo il meccanismo stesso del linguaggio, ma è certo indubbio che il loro realizzarsi è storicamente individuato nel tempo e nello spazio.

Tornando alla tenuta di timbro essa è, come dicemmo, l'elemento essenziale che caratterizza il rapporto soggetto-predicato. Come vedremo, quando la frase comporta più elementi si ha un continuo alternarsi di tensione, ma su ciò torneremo dopo aver trattato le vergenze. Per ora siamo in grado di sentire chiaramente le differenze di tensione in frasi bimembri, ad esempio I fiori sbocciano, Socrate è un uomo.

Ora chiameremo “sintesi” l'insieme di soggetto e predicato e precisamente “antitesi” la parte sostenuta, cioè il soggetto, e “tesi” il predicato.

Consideriamo le due frasi:

1)    Le notti sono burrascose

2)    Gli usignoli non cantano

Abbiamo evidentemente due sintesi, con le caratteristiche già segnalate. Creiamo ora il periodo: Se le notti sono burrascose gli usignoli non cantano (è opportuno avvertire che, in questo stadio delle indagini, fermiamo necessariamente la nostra attenzione solo sulle parole che tradizionalmente si considerano toniche: nomi pronomi principali, verbi, aggettivi, avverbi e simili, mentre trascuriamo tutto ciò che è atono: copula, negazioni, articoli, preposizioni, congiunzioni - almeno nella gran parte - particelle pronominali ecc. A questi limiti peraltro ci si può normalmente attenere quasi sempre quando si è in uno stadio di lingua non abbastanza avanzato, mentre in uno stadio di lingua in fase di sema logico e, più in generale, quando si vuol procedere ad un'analisi veramente profonda degli elementi più reconditi degli elementi più reconditi, è necessario prendere in considerazione tutti gli ingredienti, persino quelli che riguardano la formazione delle parole. Dando l'accento principale ad usignuoli sentiamo che la seconda proposizione mantiene intatto il suo carattere, con antitesi sostenuta e tesi rilassata. Nella prima invece avviene il contrario: l'antitesi viene rilassata e la tesi sostenuta perché ci troviamo in uno proposizione dipendente, cioè l'ipotesi; è questa, appunto, la caratteristica delle proposizioni dipendenti (o più esattamente di certe proposizioni dipendenti, come vedremo in seguito). La cosa si può osservare, ad esempio, nel sema seguente: I due triangoli rettangoli sono uguali perché l'ipotenusa e i due cateti sono uguali.

Va avvertito che, contrariamente a quanto ci potrebbe far supporre quanto abbiamo visto sin qui, il tradizionale concetto di soggetto (anche nella sua formulazione più ragionevole, cioè quella formale di elemento concordante con il verbo) non coincide con quello di “antitesi”, perché la “sintesi” non è l'unico tipo di sema che possa realizzarsi. Consideriamo le due frasi:

1) Il sole spunta;

2) Spunta il sole

(le quali, come sempre in questo primo stadio, vanno lette nel tono più possibilmente pacato, perché altrimenti, per ragioni che vedremo in seguito, nonostante l'ordine diverso delle parole, potrebbero, con opportune livellazioni tonali essere scambiate l'una con l'altra).

Nella prima frase abbiamo il solito andamento. Anche nella seconda il verbo discende e il nome sale, ma non si tratta di una costruzione inversa la quale, come vedremo, è sempre caratterizzata da livelli tonali diversi (per rendersene conto, per ora, si pensi, ad esempio, ad una frase prosodicamente abbastanza univoca come La Spagna confina con la Francia e con il Portogallo. Se noi facciamo precedere il verbo da con la Francia, abbiamo La Spagna con la Francia confina e con il Portogallo, e sentiamo che il livello di Francia è nettamente più alto di quello delle restanti parole). Si tratta bensì di una diversa proposizione iniziante con il verbo, cioè una “analisi”.

Chiameremo dunque “analisi” un sema nel quale si inizia con tenuta rilassata e si termina con tenuta sostenuta. Un esempio di analisi potrebbe essere una delle constatazioni comuni alla geometria come: Esistono punti.

Va ripetuto che, quanto abbiamo detto fin qui va considerato solo come un'esposizione preliminare, destinata a familiarizzarci con la tensione la quale, normalmente, nella gran parte delle frasi considerate, si accompagna ad altri elementi che noi abbiamo a bella posta trascurati. Riassumendo possiamo dire che la “tensività” garantisce il succedersi lineare degli iposemi, mentre la “tensione” è l'elemento basilare per cui una proposizione non è una semplice sequenza, ma qualcosa di conchiuso, ciò appunto che si suol chiamare o “sintesi” o “analisi”. Anche se ancora provvisorie già abbiamo delle definizioni formali di sintesi e analisi.

La sintesi è caratterizzata dal succedersi sostenuto-rilassato, l'analisi dalla sequenza contraria. Due esempi possiamo avere ancora nelle due frasi:

1)    Dio esiste

2)    Esiste Dio

dove bisogna badare bene a non leggere il primo esiste molto alto e forte, con il tono di chi volesse dire al suo interlocutore: Per quanto riguarda Dio, il fatto che esiste non va discusso, perché in questo caso ci troviamo veramente in una costruzione inversa, cioè in un'analisi invertita (con in più un'inversione di vergenza). Analogamente se pronunciamo: Esiste Dio, dando una particolare energia ad esiste, ciò non significa altro che affermare Dio esiste, dando all'affermazione una particolare intensità, cioè ci troviamo ad una sintesi invertita.

È chiaro infine che se nel parlare di sintesi e di analisi abbiamo accennato al valore che a queste parole si dà in altra sede, ciò non implica la pretesa di riferirci, nel dare le nostre definizioni, anche a quel valore. Dei rapporti indubbiamente si hanno, ma qui a noi interessa soltanto la definizione formale e il riferimento va considerato assolutamente non impegnativo.

Come pura ipotesi posso aggiungere che, probabilmente, la sostenutezza del timbro consiste articolatoriamente in questo: durante l'articolazione della vocale del sema sostenuto, il punto articolatorio caratteristico della vocale medesima tende leggermente a chiusura, dando appunto quella impressione di sostenuto e di sospeso che ci ha ispirato il nome, mentre il contrario avviene nel timbro rilassato. Questo ci dà anche una spiegazione per così dire psicologica di quello che abbiamo chiamato rispettivamente “sintesi” e “analisi”. Nella sintesi viene posta in posizione, per così dire, di sospensione, l'antitesi, come quella della quale si vuol fare intendere che si sta per predicare qualcosa (Dio esiste). Nell'analisi viceversa, dove s'inizia col predicare, cioè quasi non si aggiungesse nulla e ci si abbandonasse ad una constatazione risaputa, si incomincia con un timbro rilassato aggiungendo poi il timbro sostenuto quasi ad avvertire a che cosa si riferisce la nostra constatazione (Esistono punti). Sarà bene abituarsi fin d'ora ad accompagnare con la mano l'andamento prosodico della frase; questo dell'accompagnamento con la mano è un sistema che può riuscire molto utile; del che ci si rende conto se si pensa che non si tratta di un procedimento arbitrario, sibbene di un moto spontaneo quasi sempre presente, senza che noi ce ne rendiamo conto, quando ci esprimiamo, specialmente se con una certa vivacità. Chè in ultima analisi il gestire non è altro che questo: un accompagnare con la mano l'andamento prosodico di ciò che si esprime. Per essere più precisi potremo dividere il gestire in due grandi categorie fondamentali: quella, per così dire, “ontologica” e quella “prosodica”.

Ontologica potremo chiamare quella in cui alludiamo al significato della parola, o delle parole, che stiamo pronunciando; una specie di onomatopea visiva, quando ad esempio diciamo: L'ho intorcinato bene bene e l'ho messo in un angolo e intanto facciamo un rapido movimento di avvolgere. Oppure diciamo: Devi fare bene attenzione a questo, e puntiamo l'indice, ad esempio, sul palmo della mano. Naturalmente un simile gestire è proprio della lingua concreta della comunicazione o di quella immaginosa e della sensazione; infatti esso si accompagna spesso a parole acusticamente onomatopeiche e di quella onomatopea atta ad eccitare sensazioni particolari, come quando diciamo: Ho inteso uno schianto e intanto con le mani facciamo un movimento particolare o si pensi anche al movimento che accompagna normalmente un paff! e simili.

L'altro gestire, quello “prosodico”, accompagna e mette in rilievo gli andamenti ritmici, realizzandosi soprattutto in gesti multiformi e in certo modo morbidi e con le dita leggermente ripiegate e lasciate abbastanza sciolte l'una dall'altra per le modulazioni prevalentemente melodiche, mentre per le cuspidi a prevalenza intensiva noi usiamo gesti secchi con la mano abbastanza rigida. Ora l'andamento della  tensione, legata com'è al tono, trova la sua normale espressione in movimenti, verso l'alto o verso il basso, della mano: bisogna naturalmente familiarizzarsi con la procedura, cercando soprattutto di sintonizzare i movimenti proprio con l'andamento della tensione, evitando l'eventualità, molto facile, di fare gesti abbastanza violenti, i quali in tal caso si troverebbero ad accompagnare la vergenza (il prosodema di cui parleremo tra poco, al quale si riferiscono soprattutto i movimenti della testa con i quali ci possiamo accompagnare, specie in un parlare energico): per questo se si vuol mettere in rilievo la tenuta bisogna farlo per ora in frasi molto semplici e di stile possibilmente assertivo, in un campo di esposizione di nozioni espresse pacatamente, evitando sia l'enfasi didattica, sia la suasione conversazionale caratterizzata da ondulazioni di tono.

INDIETRO