GV 2 – L’altro Patuzzi (16.4.2008)

      

In Beccaria vindicato ho sostenuto la tesi che quel poco, e per di più distorto, che dopo due secoli sappiamo del monregalese Gran Padre dell’Elettricità lo dobbiamo, nel bene e nel male, all’abate Patuzzi. Ebbene, qualcosa del genere si può ripetere per Galvani, il genio veramente innovatore che, come acutamente sottolineato da Walter Tega (vedi le già citate celebrazioni galvaniane), forte di una solidissima e non comune esperienza di fisiologia e anatomia, seppe “rimescolare completamente le carte della scienza”.

Al contrario di Volta, uomo di mondo prima e più che scienziato indefesso, Galvani fu un pessimo propagandista di se stesso, senza validi e potenti sostenitori. La sua dottrina, il Galvanismo, fu diffusa, specie dopo la sua morte, da pochi fedelissimi: il Valli, l’Izarn e soprattutto il nipote Giovanni Aldini. Quest’ultimo, in particolare, pubblicando il noto Essai théorique et expérimental sur le Galvanisme (1803), si mise in “una storia più grande di lui” (Tega, cit.), rendendo, proprio come il Patuzzi, un servizio non sempre ottimo alle teorie del suo patrocinato.

Il libro citato, consultabile su Gallica, è principalmente dedicato alla “rianimazione galvanica” ed è intriso di incisioni piuttosto macabre, come quella qui riportata. Si notino gli sgabelli isolanti, le pile a colonna e gli archi conduttori per “galvanizzare” col fluido elettrico i cadaveri, restituendoli quasi alla vita, nonché per “elettrizzare”, in tutti i sensi, dame e cavalieri dei salotti parigini.

Un anno fa (vedi ME 23) mi sono già occupato di Aldini, a proposito della terra usata come conduttore di ritorno. Oggi però, dopo aver letto Beccaria e Galvani – intendo i loro scritti originali, si badi –, credo di aver messo molto meglio a fuoco quel basilare problema telegrafico.

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