DA 5 – La decadenza delle terme di Imera (26.1.2013)

      

Negli anni ’50 e ’60 dalla terrazza della mia casa vedevo sempre “u scavafunnu”, un’imbarcazione che, per consentire ai bastimenti di non incagliarsi, dragava periodicamente il fondale del porto riversando tonnellate di detriti su un barcone che a sua volta li scaricava al largo. Malgrado ciò la terra, portata dalle piene del fiume San Leonardo e del torrente Barratina, ha sempre avuto la meglio, facendo “arretrare” il mare – che poco più di un secolo fa arrivava quasi a lambire i “bastioni” della ferrovia, come testimoniato dai nostri vecchi o dalle pubblicità del Grand Hotel (vedi AG 28) – e facendo così “guadagnare” alla “marina” di Termini persino un metro all’anno.

Credo però che questo pur ineluttabile fenomeno non basti a spiegare l’insabbiamento della “Termini romana” raffigurata nella PO 18 e nella DA 4. Questo colossale “interrimento”, che nel punto più alto (largo Impallaria, dove è rimasto visibile ed “emerso” solo un enorme “scoglio” di calcare siliceo) raggiungeva ben 18 m di altezza s.l.m., mentre la maggior parte (la cosiddetta “Scilba” o selva dei bagni) si attestava e “assestava” intorno a quota 9 m, più o meno quella dell’attuale “piazza Bagni” (vedi ricostruzione a sinistra, nella quale, come omaggio all’amico Beppe, ho inserito anche un’imbarcazione ancorata o “alata” ad uno dei famosi “anelli” dei “rucchiceddi” - vedi DA 3), deve essere stato innescato da un cataclisma geologico, una sorta di bradisismo che nel medioevo, in concorso coi fattori antropici adombrati in PO 21, ha travolto e stravolto l’intera zona, comprese ovviamente le terme.

Nel medioevo quindi la sontuosa fabbrica romana delle terme abbozzata nella DA 4 (e a cui dedicheremo la prossima scheda) si è ridotta a poco più di un rudere e non è escluso che la stessa sorgente “accecata” dell’acqua termo-minerale abbia contribuito, con polle sotterranee e sottomarine, a inzaccherare tutta l’area, rendendola melmosa e insalubre, non potendo più la vena principale essere regolarmente smaltita in mare dall’acquedotto romano a ciò preposto e che oggi si trova sotto via Ciprì o Gisira (dove pare che ci siano tuttora anche degli ambienti, un po’ come Pompei, sepolti dalla predetta “valanga” melmosa sedimentata). Secondo infatti la testimonianza del medico delle Terme Antonio Battagliada largo Impallaria fino alla vecchia spiaggia le acque del sottosuolo sono più o meno calde e selenitose, non potabili, non sciolgono il sapone, non cuociono i legumi e molti pozzi delle case private della zona sono stati murati” (Sui bagni Termo-minerali di Termini Imerese, 1887, p. 106).

Non avendo documentazione – né letteraria, né ancor meno iconografica – del suddetto degrado delle terme romane di Imera ho utilizzato, con qualche licenza, le incisioni settecentesche di Houel: la planimetria (a sinistra) e la piscina pubblica semianulare (a destra). Questi preziosi documenti di Houel (vedi anche CA 6), come è noto, raffigurano le terme dopo il restauro effettuato all’inizio del ‘600. Gli unici dati certi di questo primo “riconcio” sono il dimezzamento della originale pianta circolare e l’elevazione di un paio di metri del pavimento, che originariamente doveva essere intorno a 4 m s.l.m. e che oggi dovrebbe trovarsi a circa 2 m sotto il livello stradale di piazza Bagni. Non posso essere più preciso sia perché non ho avuto modo di visitare i ruderi allo stato attuale, sia perché mi affido unicamente alla comunicazione personale del Chiar.mo Prof. Oscar Belvedere, la massima autorità di geoarcheologia e topografia imerese (vedi PO 24).

A proposito di tale luminare devo ancora registrare, dopo 4 anni, il suo pertinace silenzio su “tutti” i miei contributi scientifici imeresi, a cominciare dalla mappa di Daidone (vedi CA 16) e a finire con la “polemica delle quote”, sia quelle del versante nord (cisterna, castello, ecc.) che del versante sud (rucchiceddi) del nostro promontorio. Tale silenzio, che a detta dell’interessato è dovuto a mancanza di tempo per il carico dei suoi impegni accademici, è purtroppo percepito dalla maggior parte dei termitani, lo dico con estrema amarezza, come “sconfessione” in toto dei miei lavori e della mia immagine.

 

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