54 – Vedere voci

 

Alcuni anni fa assistetti ad un congresso di sordi nella grande sala della Protomoteca al Campidoglio. Mi colpì soprattutto il fatto che il conferenziere, mi pare Renato Pigliacampo, “parlava”, o meglio “gesticolava” nella Lingua Italiana dei Segni (LIS), da uno sgabello e che spesso il pubblico alzava e agitava silenziosamente le mani senza apparente motivo. Dopo un po’ capii che “applaudiva”.

Leggendo, non ricordo se prima o dopo questa esperienza, l’eccellente libro di Oliver Sacks sui sordomuti (Seeing voices, traduzione italiana Vedere voci, Adelphi 1991) compresi ancora meglio non tanto l’ovvia necessità di una visuale libera tra due sordi che comunicano, ma che in una stanza dove stanno dei sordi l’aria, in ogni angolo, vibra di conversazioni silenziose, di voci visive.

Leggendo Sacks linguaggio e sistema nervoso si vedono in una nuova prospettiva, si scopre che esistono non una ma infinite lingue dei segni, che queste sono diverse dal “paralinguaggio dei gesti” e soprattutto che l’annosa, anzi secolare contrapposizione tra metodo orale e metodo manuale nella istruzione dei sordomuti è, come minimo, fuorviante e, come massimo, pretestuosa. Naturalmente io, essendo normudente, posso solo intuire le problematiche dei sordi e quindi le mie opinioni possono esser prese solo cum grano salis.

Bell, l’inventore del telefono, istruttore di sordomuti e partigiano dell’oralismo (labiolettura) è stato sempre visto come la bestia nera dei sordi, nella quasi totalità orientati verso l’insegnamento e l’uso dei “segni” e sostenitori del, per loro, più celebre Gallaudet. C’è da dire però che Bell conosceva benissimo anche il metodo manuale e sapeva segnare con le dita con la stessa facilità di un sordomuto, anzi pare che usasse le dita con una grazia e una scioltezza che affascinavano.

La contrapposizione Bell-Gallaudet a me ricorda quella tra i fisici Du Moncel e Navez sulla famosa (almeno a fine ‘800) “teoria del telefono”, e cioè dei movimenti “molecolari” oppure “in toto” a cui è sottoposta la membrana del telefono. Forse avremo occasione di ritornarci in una prossima News.

Non è esatto che il sordo non sente la propria voce come non ode quella dei circostanti. Gli udenti considerano le parole principalmente come suoni, mentre il sordo che ha imparato ad articolarle le riguarda come azioni che nascono e si esercitano entro lui stesso. Ciò, secondo Carlo Maggiorani (medico orientato verso il metodo orale praticato in Germania), conferisce al linguaggio un non so che di tangibile e adatto a essere ritenuto nella memoria.

 

Intervento di Pigliacampo (16.10.05):

Carissimo Gaeta,

ho molto apprezzato quel che hai scritto in questa tua ultima New. Hai capito, in poco tempo, quel che i "testoni" non hanno capito in 100 anni. Tanti segreti, per capire la lingua, il linguaggio e la comunicazione (tre distinzione da fare bene e valutare individualmente, come facciamo con le note, per poi riorganizzarle in un'unica sinfonia, l'opera). Qui in Italia abbiamo troppo fossilizzato il cervello sul verbum. Lo psittacismo nel nostro paese è devastante. Basta “gettare” una parola, anche comune, in una classe di liceali, non dico di scuola media, per avere risposte (interpretazioni del codice) in modi sconclusionati, addirittura contraddittori nei significati. Perchè? Proprio perchè, a mio parere, scordiamo di insegnare ai nostri studenti e scolari la parola visivamente. Puntiamo solo sulla verbalità, sulla memoria uditiva. I tuoi studi  ti hanno condotto ad intuire questo. Sei poco ascoltato perchè hai a che fare con persone psittacistiche. Se esse ti avessero seguito nelle letture e nelle ricerche che hai compiuto sul mondo del silenzio avrebbero un momento di attenzione e di riflessione sui tuoi studi. Sono temi che ridiscuteremo, sebbene il mio tempo sia limitato e mi perda in cento interessi e/o occupazioni. Cordialità.

tuo Renato Pigliacampo.

 

Indietro