DA 16 – Il Castello di Bacino (16.3.2013)

  

 

Elio Balsamo chiudeva il suo dotto opuscolo, del 1964, sul Castello di Termini Imerese riportando alcuni brani, del 1877, dello storico Stefano Vittorio Bozzo: “… Si circonda di case l’area che una volta occupava quella fortezza. La generazione ventura troverà certamente così mutato quel luogo, che di essa solo i ricercatori delle memorie antiche sapranno forse che quivi sorgeva una volta un castello che fu una delle principali fortezze della Sicilia nostra. … Terminesi, se voi avete prima portata la mano a distruggere quell’edificio come un baluardo alla tirannide, pensate pure che desso fu anche una volta baluardo alla libertà siciliana, e ponete almeno a suo tempo una lapide che ricordi il gigante scomparso. … Così belle memorie del passato non devono essere mai ignote alle generazioni di poi ed è patria carità il conservarle perenni”.

Non abitando più a Termini non so se l’attuale generazione di Termitani è consapevole che il nostro Castello un tempo era molto più imponente e importante, ad esempio, di quello di Caccamo e che subito dopo l’Unità d’Italia fu del tutto raso al suolo e rimosso dalla memoria storica cittadina. Di certo, però, mezzo secolo fa la “profezia” di Bozzo si era avverata perché a Termini si considerava “Castello” solo l’acropoli o il “cocuzzolo” dell’enorme dimenticata Fortezza.

Forse a Termini la lapide di cui sopra non c’è, però per fortuna al Museo Civico si può vedere il fedelissimo dipinto di Ignazio De Michele (Fig. 1) che dà una buona idea di com’era la Fortezza di Termini “Prima del 1860”, come si legge su quella specie di cisterna o abbeveratoio sulla strada che dalla “Frora”, l’attuale villa Palmeri, andava dritta al “piano della matrice”, posto ben sotto, si badi, al “Baluarte de la Plaza” della Città (sulla destra). Su questa strada, l’attuale via Jannelli, dopo l’accennato stravolgimento urbanistico e “sopra” la selvaggia demolizione dei bastioni, si innestò l’odierna via Circonvallazione Castello costeggiante il muro di cinta della Città (Fig. 2).

Ai termitani di oggi la “fotografia” di De Michele svela un sacco di cose: la pasta prodotta artigianalmente in famiglia esposta ad asciugare al sole; il telegrafo ad aste di Chappe in cima alla Rocca; il già sottolineato forte declivio tra il muro di cinta del Castello e la Matrice; la piccola “rocca dell’orologio”, all’interno del Bastione della Piazza, su cui un tempo si ergeva una meridiana (vedi il dottissimo saggio di Antonio Contino in Speleologia iblea 12, 2006); ecc.

Ovviamente, però, quello che più colpisce è l’imponenza della cinta o “recinto” del nostro antico Castello, con i suoi camminamenti e le cannoniere o “troniere” ben visibili nella parte destra, quella del tutto scomparsa o nascosta dalle case (vedi Fig. 3, tratta, per gentile concessione dell’autore, da R. Nicchitta, “Da Himera a Termini Imerese”, 2006, p. 37), e con la parte sinistra, invece, abbastanza “sopravvissuta” fino ai nostri giorni. Per facilitare il riscontro (forse impreciso perché fatto non con apparati topografici, ma solo con Google Earth e i miei nostalgici ricordi imeresi) tra la situazione fino all’Unità d’Italia e quella attuale ho numerato (da 1 a 13) tutte le salienze e le rientranze, sia nel quadro di De Michele, sia nelle altre foto (Fig. 4, Fig 5 e Fig. 6). Il tratto 4-5 corrisponde al bastione della Fossola; il tratto 12-13 al bastione (o tenaglia) della Piazza; lo spigolo 7 non esiste più, non tanto perché resegato in altezza, ma perché fagocitato dalla moderna strada di circonvallazione, mentre nel dipinto è nascosto dallo sperone 8. Osservando bene il quadro sembrerebbe anche che in corrispondenza del cantone 7, l’unica zona dello strapiombo della Fossola accessibile agli uomini (e non alle sole capre), ci possa essere stata una “entrata di servizio” al Castello (riservata, chissà, alle maestranze civili impiegate lì dentro), ma, naturalmente, non vorrei aver preso una …”cantonata”.

Un’ultima considerazione. Dalle preziose mappe di Madrid, Roma e Vienna riportate nell’Atlante storico della Sicilia di Liliane Dufour (1992) sembrerebbe che il nostro “Fortino” sia stato difeso da un duplice recinto, secondo le regole di fortificazione dell’epoca (vedi G. Amico, L’Architetto prattico, vol. 2, Palermo 1750). Forse si trattava solo di progetti, perché nell’affidabilissima mappa di Agatino Daidone, pubblicata per la prima volta in alta risoluzione nel mio opuscolo “La città sbancata” (Roma, 2009), e nel quadro di De Michele di cinta invece ce n’è una sola. La questione è aperta, e sono certo che qualche giovane e valente studioso termitano possa, sappia e voglia lavorarci sopra.

Ho voluto riportare integralmente il mio articolo sul Castello di Termini Imerese apparso in Espero (ritaglio a destra) sia perché esso è un rimaneggiamento dell’articolo originale RE 39 (pubblicato, anzipubblicone Gli Atomi, la mia collana in PDF), sia perché ben difficilmente ha raggiunto o può raggiungere la maggioranza di termitani (in quanto la testata citata è un foglio sciolto, non una rivista come pensavo), sia infine, e soprattutto, per presentare degnamente la magnifica tempera su tavola (a sinistra) che Aldo Bacino (a destra) ha dipinto, nel 1990, ispirandosi ad antiche stampe e piante della sua e nostra città.

Il citato Bozzo in un altro articolo del 1878 sul famoso assedio di Termini del 1338 aggiungeva: “Oggi l’opera dei minatori sta distruggendo il culmine della rocca su cui le più alte bastite del castello poggiavano, e non andrà molto che una strada costeggerà dalla parte del mare l’ambito che desso occupava, ambito che va divenendo un piano che si adorna di case; ma mi torna assai grato l’annunziare che già è nell’animo di qualcuno fra i più distinti cittadini che si ponga un cippo commemorativo della fortezza che scompare, e che serve a ricordare con essa la difesa del 1338”.

Le case che hanno “adornato” (o deturpato?) il piano costeggiante la rocca (vedi RE 50 – “Un errore toponomastico”, RE 53 – “Un castello s-confinatoe, in ultimo, DA 13 – “Carteggio Burrafato - Gaeta”) oggi sono ben note ai termitani, ma essi hanno totalmente dimenticato quel “baluardo alla libertà siciliana”, di cui dovrebbero essere invece orgogliosi, malgrado, sottolineo “malgrado”, i tentativi di pochi benemeriti – De Michele, Balsamo, Navarra, Gaeta o, appunto, Bacino – di tenere in vita la memoria storica della loro città.

Oserei aggiungere che il dipinto un po’ “naif” dell’amico Aldo è quello che raggiunge meglio di tutti questo scopo perché con la freschezza del suo impatto visivo – bastioni, rocca, telegrafo ad aste, ponte levatoio, fontana monumentale, ecc. – arriva direttamente all’immaginazione, e al cuore, dei termitani comuni, ai quali poco importa di qualche errore assonometrico o topografico (la via circonvallazione a sinistra, inesistente nella “fotografia” di De Michele).

Nel congratularmi vivamente con Aldo Bacino, gli ricordo che le pagine del gruppo Belvedere e soprattutto la sezione “Fonti” del mio sito saranno ben lieti di accogliere i suoi numerosi e (intuisco) fondamentali contributi: Requiem per una città, Manoscritti del Guarino e del Tuccio, chiesa di S. Orsola, ecc.

 

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