DA 1 – Il Leonardo d’Imera (6.1.2013)

ponte                       Leonardo Vitturi

 

Ei fu, che presso Imera

Mole, a cui Veglio alato invan fa guerra

Per Arco di stupor nel suol dispose:

E’ con raggion nell’opra a me sovrasta,

Se Ponte alzò, ch’ a secoli contrasta.

 

Intitolo questa mia “Quinta serie di idraulica romana” ad Agatino Daidone, l’architetto e cartografo regio (Calascibetta1672 – Palermo 1724) a cui ho già dedicato alcune schede (CA 16, CA 19, RE 37, FO 52, FO 54) la conoscenza delle quali, assolutamente propedeutica all’intelligenza del prosieguo (anche per le notizie bibliografiche lì fornite), do per scontata presso i lettori di queste “Daidone News”.

Questo cambio di intestazione, dovuto unicamente a esigenze di fascicolazione snella e periodica, non interrompe il filo conduttore e il leitmotiv delle serie precedenti (Caverni, Poleni, Reuleaux), perché gli argomenti finora trattati – principalmente idraulica, cinematica, storia termitana e della scienza in generale – sono ben lungi dall’essere esauriti. Del solo Reuleaux, ad esempio, posso dire che ho potuto mostrare solo la punta dell’iceberg, toccherà a nuove leve dissodare il tesoro ancora sommerso, o le radici ancora sotterra.

La fama, o meglio la scarnissima letteratura esistente su Daidone (nonché la perdita della maggior parte dei suoi scritti), lo pone, al più, nell’affollatissimo “limbo” dei “nuovi Archimede”, soprattutto a causa dell’“Archimede reintegrato”, la sua opera più compiuta pervenutaci e relativa all’Idrolibra, una particolarissima macchina idrostatica per rilevare la purezza o la “falsità” dei metalli. Per togliere Daidone da questo limbo e dargli una fama concreta e commisurata ai suoi reali meriti occorre “ancorarlo” a opere tangibili e studiare “ingegneristicamente” – e di certo fruttuosamente – il ponte monumentale di Termini Imerese, quell’“arco di stupor”, come recita l’ode funebre da cui ho tratto i versi di apertura, che “ai secoli contrasta (resiste)” e a cui il “veglio alato (il tempo) fa guerra”.

L’autore dei versi appena citati, e che ho parzialmente riportato in apertura (traendoli da FO 52), aggiunge, nella finzione poetica, che Archimede riconosce a Daidone di essere sovrastato dalla sua opera e per questo preferisco accostare Daidone, come già Reuleaux (vedi RE 1), non ad un Archimede, ma ad un Leonardo ideatore di ponti, come quello di Costantinopoli (modello a sinistra), forse concettualmente simile al ponte monumentale di Termini Imerese (dipinto a destra, Roberto Vitturi, 1980), perché “di se fa spalle a se medesimo” (autoportante).

In Sicilia, per decantare questo ponte di Termini, ci si limita a paragonarlo alla grandiosità dell’Etna e della Fonte Aretusa, ripetendo pedissequamente il famoso detto “Un monte, un fonte, un ponte”. A mio credere bisogna invece approfondire le ricerche biobibliografiche su Daidone, soprattutto nel nisseno e nell’ennese, e carpire pietra per pietra (quella porosa d’Aspra, celebrata anche in alcune sequenze del film Baaria di Tornatore) e dammuso per dammuso i suoi segreti (a cominciare dalla ricerca di progetti e quant’altro soprattutto a Madrid, negli archivi asburgici di Carlo VI, il committente dell’opera).

Chiudo riportando un brano, fortemente istruttivo (su tante cose), dal “Viaggio ai bagni minerali di Sclafani”, Palermo 1828 (p. 8), operetta veramente scientifica di Niccolò Cacciatore, direttore del Regio Osservatorio di Palermo:

“Seguendo il cammino si giugne alla Trabia, o Tarbia. È sito abbondantissimo di acque, e fu luogo di sollazzo dei Termitani. Ma acquistato poi dalla casa Lanza; saccheggiato e desolato nel 1606 dai Terminesi per differenze allora insorte; restò finalmente nella casa Lanza, dopo che il principe Ottavio nel 1633 vi fabbricò la terra, il castello e la gran porta che vi si vede. Quattro miglia al di là di Trabia si giugne in Termini, dopo passato sopra magnifico ponte il fiume di Termini (Flumen Thermarum) che Cluverio confonde coll’Himera Septentrionalis. Questo sbaglio tanto pesante nell’opera di quel dotto autore ha influito sull’indicazione e la posizione di varii luoghi, e sull’interpretazione di varii passi di antichi autori, cui egli tira al suo pensiero mentre dicono tutt’altro. Tanto è pericoloso, nelle ricerche di qualunque natura, il fissare quali fatti incontrastabili talune idee, che o per svista o per singolarizzarsi si adottano e si favoriscono”.

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