3 – Elogio del P. Giovanni Battista Beccaria, delle Scuole Pie

(N. B. – La numerazione delle figure si riferisce all’edizione cartacea)

 

Il P. Giovan Batista[1] Beccaria, Professore di Fisica sperimentale nella Regia Università di Turino, delle Accademie di Londra e di Bologna, e Membro onorario dell’Accademia di pittura e scultura pur di Turino, nacque ai 3. Ottobre dell’anno 1716. in Mondovì di famiglia molto civile. Giuseppe Maria suo fratello, e Carlo Cammillo suo zio paterno, medico di professione, furono amendue Decurioni di città. Fec’egli i suoi primi studj nella Regia Scuola della sua patria, dove preso non meno dall’amor delle lettere, che dal desiderio della quiete necessaria per coltivarle, in età di appena 16. anni volò a Roma a vestir l’abito (di) religioso trai Chierici Regolari delle Scuole Pie, e a compire i suoi corsi nelle scuole di quella Religione[2]. Pare che fossero molto rapidi i suoi primi progressi, poiché non aveva ancora cessato d’essere discepolo, che gli convenne esser maestro[3]. Fu spedito frettolosamente dai Superiori ad insegnar lettere umane nel Collegio d’Urbino, uno de’ principali dell’Ordine, dove per due anni sostenne decorosamente l’onor della scelta. Alcuni suoi componimenti, che trovansi in diverse raccolte, ci fanno fede della sua eleganza e facilità nel verso Latino, e il pregio, in cui ebbe fino alla morte Catullo, Virgilio e Dante compagni suoi indivisibili nell’ore d’ozio, mostra la finezza e solidità del suo gusto nell’opere d’ingegno. Ma le Muse non trattennero lunga stagione il P. Beccaria; le mattematiche e la filosofia l’avean già guadagnato con attrattive insuperabili, e convenne lor cederlo. Fu dunque fatto passare dal Collegio di Urbino al Real di Palermo a professar l’une e l’altra, ed ivi fu che per cinque anni istruendo altrui, ed applicando indefessamente penetrò molto avanti in tali facoltà. Fu quindi chiamato a Roma, e impiegato successivamente in S. Pantaleo[4], e nel nuovo Calasanzio[5], collegj ne’ quali le professò per egual numero d’anni con acquisto sempre maggiore di cognizioni e di reputazione. Vivono ancora molti illustri scolari, ch’egli ebbe in essi, fra i quali il P. Gaudio dell’istessa Religione, celebre per le sue opere[6], e il Sig. Conte Ciacchi[7] Cav. Unghero, a cui per tre giorni sotto i gloriosj auspicj di Benedetto XIV fece sostener pubblicamente l’intero corso mattematico del Wolfio con stupore universale di tutta Roma[8].

Per questi gradi divenuto oramai il P. Beccaria filosofo d’alto grido, fu nell’Agosto del 1748. invitato dal Re a Turino con decorosa provvisione[9] per occupare in quella Regia Università la cattedra di Fisica Sperimentale. Quì ebber luogo di svilupparsi i suoi talenti naturali in tutta la lor grandezza. Le ricerche e dottrine elettriche erano allora nel maggior fervore[10]. Il gran fenomeno della Boccia di Leida occorso due anni prima[11]; il molto più grande dell’elettricismo delle nuvole tempestose, che già cominciavasi a travedere, e che l’anno finalmente 1752 restò accertato collo strepitoso fatto di Marly-la-Ville[12], avean talmente rapiti gli animi anche del volgo, che l’osservazioni e le leggi de’ fenomeni elettrici formavano l’occupazione universale. Ecco il campo presso che immenso, che la natura presentò subito al nuovo Professore, ed ecco quello in cui principalmente si esercitò, e se convien dirlo[13], vantaggiò ogni altro. È degno di particolare osservazione, come di tutti i sistemi, che furono immaginati per fondare la teoria dell’elettricismo, il migliore, e forse il più pronto ci venne d’America. Beniamino Franklin, nome oramai trascendente ogni elogio, fu il primo che con molte, e molto ingegnose esperienze formollo.

Niun corpo è privo di vapore[14], o fuoco elettrico, fluido di grand’elaterio, o forza d’espansione; tutti ne sono come inzuppati secondo la propria capacità; ragione per cui si tiene in tutti naturalmente equilibrato. Alcuni di essi gli danno liberamente passaggio a traverso alla loro sostanza, che vengono perciò detti deferenti o conduttori; altri al contrario glielo negano, e l’arrestano sulle lor prime superficie, che perciò chiamansi coibenti o isolanti. Per tal diversa costituzione de’ corpi l’arte, e molto più la natura[15] ha de’ metodi di rompere in essi l’equilibrio di questo fuoco, caricandone alcuni, ed altri scaricandone oltre la dose naturale, e introducendo così tra loro or men gagliardo, or più risentito sbilancio. Tale sbilancio può introdursi ancora tra le opposte faccie d’un corpo stesso s’egli è coibente, a condizione però, che quanto oltre la dose naturale si carica l’una, altrettanto si scarichi l’altra; or questo qualunque sbilancio appunto è il fondamento, il principio di tutti i fenomeni elettrici. Costretto dal proprio elaterio il fuoco elettrico a ricomporsi in equilibrio, circola per le strade che gli vengono aperte, o che egli s’apre da se medesimo, dai corpi, dalle superficie in cui abbonda, ai corpi, alle superficie in cui manca, e circolando produce tutta quella mirabile diversità d’effetti, che si osservano or piacevoli ed or terribili a proporzion del suo eccesso da una parte, e il suo difetto dall’altra. Tale è in sostanza il sistema elettrico di Franklin; sistema, ch’ei non limitò al suo gabinetto, ma stese arditamente, e con passo franco a tutta la natura, specialmente alle meteore[16] le più furiose, e insegnò l’arte divina di disarmar de’ fulmini l’atmosfera a difesa degli edifizj.

Ma Franklin qual altro vecchio Romano non poteva esser filosofo, che quanto glielo permetteva l’uomo pubblico. Legislatore di vaste provincie, e difensore de’ lor diritti, dovea pensare più che al fuoco elettrico, e a torlo alle nuvole, a stabilire la loro indipendenza. Quindi il suo sistema rimanevasi ancora dentro i troppi ristretti confini della sua nascita, e perciò inteso da pochi, impugnato da molti, o almen non seguito. Ne conobbe peraltro tutto il pregio il P. Beccaria, e fin dalle sue prime mosse adottatolo si propose di confermarlo, di promuoverlo, di condurlo alla sua perfezione, in certa guisa di farlo suo.

L’anno dunque 1753. pubblicò il suo Elettricismo artificiale e naturale dedicato al Re medesimo. Questa sua prima opera sola bastò perché il sistema di Franklin restasse stabilito, e ridotto a compimento quanto poteva esserlo di quel tempo, ed ei annoverato frai più insigni sperimentatori dell’età nostra. In essa[17] dopo un breve catalogo de’ corpi isolanti, e deferenti con un’analisi del tutto nuova, dimostra la presenza ne’ medesimi, l’equilibrio e lo sbilancio del fuoco elettrico. Determina i segni della sua circolazione, e la rende sensibile agli occhi stessi. Intraprende l’esame della Boccia di Leida; rimuove ciò che è indifferente per la sua carica; e ne fa vedere la necessità del voto e del pieno in egual grado nell’opposte faccie. S’apre la strada a molt’altre interessanti ricerche, e dimostrazioni, e reca intanto maraviglia non ordinaria il vedere la facilità, con cui l’elettricismo artificiale con tutta l’immensa folla de’ suoi stupendi fenomeni vien di mano in mano subordinato a questi principj.

Passa all’elettricismo naturale. Lo trova egli pure colle sue osservazioni in terra e nell’atmosfera e lo subordina agl’istessi principj. Conferma con ciò la teoria de’ tuoni, de’ lampi, de’ fulmini, e fa travedere il fondamento dell’altre meteore. Stende le sue congetture ai tifoni, o trombe di mare, ai tremoti, ai vulcani, ai fulmini, che scoppiano nelle miniere, e finalmente alla connessione, che forse ha coll’elettricismo la coerenza de’ corpi, e la gravità universale; congetture che parte hanno somministrato ad altri ampia materia d’importanti investigazioni, e parte somministrandola a lui medesimo[18]. Il merito di questo primo lavoro non si può meglio rilevare che dal giudizio portatone dall’istesso Franklin. Inviatogli sino in America dal Sig. Dalibard suo corrispondente a Parigi, e richiestolo del suo parere: voi mi domandate, gli rispos’egli[19], il mio sentimento sul libro Italiano del P. Beccaria: l’ho letto con molto piacere, e lo riguardo com’una delle migliori opere, che io abbia veduto in alcuna lingua su tale argomento.

Nel mentre che l’opera era sotto il torchio comparve una critica anonima contro il primo capitolo della medesima. Trovasi in essa inserita a parte una dotta risposta alla critica. Trovasi pure inserita nel modo stesso una lunga lettera al Sig. Ab. Nollet, la quale per l’incontro che ebbe, fu subito tradotta in Francese dal Sig. de Lor, e pubblicata[20] con qualche aggiunta cavata specialmente da una lettera dello stesso P. Beccaria al Sig. Bertrand[21]. Si sostiene nella medesima vittoriosamente contro il Sig. Ab. Nollet la resistenza del vetro al passaggio del fuoco elettrico, punto capitale del sistema di Franklin. Che se alcuno posteriormente sull’autorità di qualche esperienza ha preteso in contrario, ciò non è stato che un equivoco o una prova al più, che la resistenza del vetro non è assoluta, ma relativa soltanto a certo grado di calore non troppo intenso, e di carica non troppo straordinaria; né d’altro abbisogna il sistema di Franklin[22].

Ma se questa fu la prima produzione sull’elettricismo di questo Filosofo, non fu però l’unica. La parte naturale di esso, a cui Franklin avea con tanta felicità già dato moto, e in vista appunto di cui si travagliava con tanto calore intorno all’artificiale, non faceva allora che nascere da osservazioni strepitose sì, ma in piccol numero, ond’è che ei appena l’avea potuto adombrare nel libro, che abbiam mentovato. Applicassi dunque con tutto l’impegno a trattarla da capo. Cinque anni di osservazioni continuate indefessamente, e con incredibil sagacità lo provveddero di vasti materiali per tal lavoro, che l’anno finalmente 1578. restò compito. Questo pure nel suo genere ha, come l’altro, poco o nulla d’uguale in qualsivoglia linguaggio. È compreso in un ampio volume di quindici lettere al sig. Beccari già grand’onore dell’Università di Bologna e dell’Italia tutta, pubblicate l’anno medesimo[23]. Le prime di esse servono ad accertar con nuovi artifizj la circolazione del fuoco elettrico, e ad illustrare e promovere ulteriormente l’elettricismo artificiale, salgon l’altre coraggiosamente nell’atmosfera, e si profondano sotto la superficie della terra, seguendo il circolo, e l’azione del fuoco elettrico. La teoria de’ temporali e de’ nuvoli e venti temporaleschi non si trova in verun altro luogo meglio stabilita. Non la natura ed effetti de’ fulmini, d’indurre specialmente magnetismo nei corpi, di mutar la direzione delle calamite, di calcinare e rivivificare i metalli: non la maniera più sicura di deviarli dagli edifizj. Che direm poi delle meteore acquose? La lor formazione coi loro più straordinari accidenti hanno quì una spiegazione molto felice, né l’ha certamente meno felice la connession loro, e de’ fulmini colle corrispondenti alterazioni nel nostro globo.

Come nell’opera precedente incluse il P. Beccaria una lettera al Sig. Ab. Nollet sulla resistenza de’ vetri, così ne include una in questa al Sig. Conte Scarnafigi sulla luce da esso per la prima volta scoperta nei vetri d’una certa sottigliezza percossi e strisciati da un colpo d’aria. Ricerca con analisi molto sottile e circospetta la vera cagione di questo nuovo fosforo, com’ei lo chiama, e dopo avere escluse tutte l’altre possibili, conchiude finalmente con ottime analogie esser esso pure un giuoco del fuoco elettrico[24].

Dopo quest’anno ei si tenne in silenzio fino al 1764. Era occupato d’ordin del Re non meno utilmente in diverse campagne per la misura d’un grado del meridiano terrestre in Piemonte. Dobbiam parlarne più basso. Le misure finalmente terminate, e restituitosi esso in Turino di piè fermo, fu eletto Maestro di Fisica Sperimentale del Duca di Chablais; e comparso nel tempo stesso in quella Dominante il Real Duca di York, ebbe l’onore di fare con di lui particolar gradimento diverse esperienze in sua presenza. Allora fu che rotto il lungo silenzio uscì di nuovo in pubblico con due dissertazioni dedicate al medesimo, brevi bensì di mole, ma di un merito non volgare. Nella prima dalla naturale struttura del cristallo di monte accuratamente esaminata ripete la meravigliosa refrazion della luce che ha luogo in esso; doppia, se il raggio entra obliquo all’asse del cristallo; unica se entra parallelo. Su tale argomento, come è noto, Bartolino, Hugenio, Newton stesso già travagliaron con poco successo. Dimostra inoltre come da un prisma esagono possa tagliarsi un prisma triangolare equiangolo, che renda una sola immagine di colori. Nella seconda misura la forza della scintilla elettrica e del fulmine sull’aria; quindi tornando a far vedere la sorprendente proprietà de’ fulmini d’indurre virtù magnetica nei corpi, che ne son capaci, e a confermare la legge, con cui si scompartono e si propagano, propone di nuovo il metodo di fissarne la loro direzione, e di preservarsene, come nelle lettere al Beccari avea già fatto.

Termina finalmente con ulteriori osservazioni per meglio determinare il rapporto, che ha colla naturale struttura del cristallo di monte la doppia o la scempia refrazione.

Fino a quì il sistema di Franklin dell’elettricità in più e in meno, o come altramente esprimevasi, positiva e negativa, sostenuto e promosso dal P. Beccaria, si può dire che regnasse, poiché l’altro delle due correnti contrarie affluente ed affluente del Sig. Ab. Nollet, quantunque abbracciato in Francia generalmente, si trovava poco sufficiente a difender se stesso, e meno alla spiegazion de’ fenomeni. Ma il celebre sperimento trasmesso l’anno 1755. all’Imperiale Accademia di Pietroburgo dai PP. Gesuiti di Pekino, e le nuove esperienze di Roberto Symmer comunicate l’anno 1759. alla Reale Accademia di Londra, tradotte avidamente in Francese con aggiunta di proprie note dal Sig. Ab. Nollet, e confermate susseguentemente, e stese a maggior ampiezza dal Sig. Giovan Francesco Cigna Professore nell’Università di Turino, parvero abbatterlo a un tratto dai fondamenti. L’esperimento di Pekino appariva contrariare apertamente l’impermeabilità del vetro, senza cui il sistema di Franklin non si può reggere; e i vetri del Symmer, e le sue tanto famose calze, e i non meno famosi nastri del Sig. Cigna, tutti corpi coibenti, ci facevan vedere a qualunque segno il medesimo genere d’elettricismo in amendue l’opposte faccie; cosa affatto ripugnante in quel sistema[25]. Aggiungevasi a tutto ciò, che nell’elettrizzarsi i corpi per uno sbilancio del fuoco naturale indotto fra essi, Kinnersley altro dotto Americano, e gran seguace di Franklin, credette avere scoperto, e qualche tempo meritò fede la sua credenza, che ne’ zolfi e nelle resine lo sbilancio s’inducesse per sottrazione di fuoco, ne’ vetri al contrario per aumento, e nel rimanente dei corpi nell’una e nell’altra maniera, secondo che più ai vetri o ai zolfi fossero analoghi. Quantunque questa nuova distinzione di corpi fosse indifferente al sistema di Franklin, pure finchè durò a credersi vera la scoperta, si tenne in luogo d’una non dispregevole pertinenza del medesimo. Quindi elettricità vitrea o resinosa furon termini molto solenni trai Frankliniani per esprimere un’elettricità in più, o positiva, ed una in meno, o negativa. Or questa distinzione medesima veniva espressamente combattuta dall’esperienza del Symmer, poiché l’istessa calza, l’istesso nastro, l’istesso vetro si elettrizzava talora in più, talora in meno secondo differenti circostanze. Sicchè si gridò altamente contro Franklin e i suoi principj; e poichè Symmer medesimo non potea dalle sue esperienze non riconoscere in natura due contrari generi di elettricità, fece l’uno e l’altro positivo ed antagonista: suppose cioè nei corpi due fluidi elettrici essenzialmente diversi d’un’azione fra loro opposta ed equilibrata, l’eguaglianza della quale tosto che l’aumento d’uno venisse a rompersi, si manifestassero i segni del fluido vittorioso.

In mezzo a questi filosofici clamori il P. Beccaria con analisi lenta e profonda riandava non solo, ma stendeva a termini molto più ampj l’esperienze di Pekino e del Symmer, e rendutosi oramai al suo solito padrone della materia, confutò prima in un saggio di nuove esperienze dato l’anno 1766. alla Real Accademia di Londra i due fluidi antagonisti del Symmer con un esperimento diretto e decisivo, e con altri di somma forza, sebbene indiretti. Convenne quindi del difetto della scoperta di Kinnersley, ma la fece vedere del tutto estranea al sistema di Franklin, e preso da ciò motivo di sparger lume su questa oscura materia, e di determinarla più precisamente, con una serie di scelte osservazioni fece vedere, che tutti i corpi, vetri o resine, e i loro analoghi danno o ricevono indifferentemente il fuoco elettrico secondo la diversità dei corpi, onde vengono stropicciati, e secondo l’asprezza o liscezza per differenti gradi delle loro superficie, confermando così, e dilatando nel tempo stesso la bella scoperta già fatta da Canton. Questo saggio fu l’anno stesso seguito da un altro, in cui poneva sotto gli occhi dell’Accademia diversi nuovi esperimenti atti a rivelare tutto il mistero dell’esperienze di Pekino e del Symmer, e strettosi poscia dopo tali preludj a queste esperienze asserì liberamente in lettera pure di quell’anno al Sig. Franklin allora in Londra, esser tanto lontano che per le medesime venisse arrecato pregiudizio alcuno ai suoi principj, che anzi ne ricevevan nuova conferma: richieder ben’esse un nuovo principio da aggiugnersi agli altri suoi, ma convenir questo con quelli mirabilmente, e da tutti insieme risultare la ragione di fatti in apparenza così bizzarri. Gli manifestò l’anno seguente questo principio, accennandogli brevemente le sue conseguenze. Ma perché la materia non solo era nuova, ma di grande importanza, determinassi a trattarla colla estension necessaria in un’opera a ciò consacrata.

Comparve essa l’anno 1769. col titolo d’Experimenta atque observationes, quibus electricitas vindex late constituitur et explicatur: e con in fronte l’eccelso nome dell’Imperatore Giuseppe II., che onorando allora l’Italia colla sua presenza non isdegnò d’essere in Turino testimone augusto delle esperienze, delle quali l’opera è composta. L’oggetto della medesima è di mostrare ne’ vetri, e a loro esempio negli altri corpi coibenti una facoltà di ricuperare, e come rivendicare in una delle loro faccie la già perduta elettricità col solo spogliare la faccia stessa della sua qualunque armatura. Questa facoltà, che il P. Beccaria appella elettricità vindice, è quel principio, ch’egli crede doversi aggiungere agli altri Frankliniani, principio, che coi medesimi a meraviglia consente, e di cui co’ medesimi combinato tutti i nuovi fenomeni non sono che una natural conseguenza. Lo prova egli con una felicità senza pari. Ciascun di essi si presenta da se medesimo, cede, si sviluppa sotto questa combinazione. Le loro più minute circostanze trovan ivi una spiegazion necessaria. V’ha di più: si dimostrano inesplicabili in altro sistema. Ammessa così la sufficienza del nuovo principio unito ai vecchi, conveniva provarne l’esistenza, come de’ vecchi era già provata, perché il complesso di tutti non fosse ipotetico. Il P. Beccaria dedica a ciò la maggior parte dell’opera presente. La verità dell’elettricità vindice vien provata in essa con una moltitudine d’esperimenti così nuovi, così variati, e in tutte le loro espressioni anche in apparenza le più indifferenti così facondi, che qualunque siasi la ragion del fatto, il fatto riesce incontrastabile, e la prova un vero portento di sagacità.

Non si deve quì tacere che al primo di tali saggi all’Accademia Real di Londra unì egli l’osservazione da se fatta d’un’ecclisse lunare, la quale già comincia a farci conoscere il suo gusto per l’astronomia, e alla seconda lettera al Sig. Franklin una sensata risposta sopra d’un sasso veduto nel territorio di Modena cader dal cielo, che ce lo conferma un gran fisico. Dall’esame minuto di tutte le circostanze, specialmente dall’essere allora il ciel fulminante, credè che il sasso fosse portato in alto da qualche fulmine mediante una subitanea evaporazione indotta nell’acqua, di cui il suolo Modenese abbonda da ogni parte[26]. Questa opinione fu approvata da ognuno, e certamente meritò d’esserlo, siccome d’esser ancora applicata a tutti gli altri casi dell’istesso genere, di cui parla l’istoria, quantunque in altra età creduti miracolosi.

Ma intanto la dottrina dell’atmosfere elettriche e de’ movimenti dei corpi in esse immersi da lungo tempo esercitavano gl’ingegni de’ maggiori fisici. Già Wilke ed Epino, celebri nomi fra gli elettricisti, aveano con applauso universale stabilita la lor natura, e tolta di mezzo la difficoltà dell’atmosfere negative, che tanto inquietava l’istesso Franklin, avean fissata interamente la nota legge scoperta da Franklin solo a metà; che ogni corpo elettrico tanto per eccesso, che per difetto si sforza egualmente d’indurre l’elettricità contraria ne’ corpi immersi nella sua atmosfera. Più: in conseguenza di questa legge e di questa natura appariva già chiaramente la ragione, per cui i corpi immersi accostavansi o discostavansi secondo che erano provveduti d’elettricità contraria o d’omologa; fenomeno prima stabilito col fatto, e che conteneva in se tutti i meravigliosi movimenti de’ corpi immersi nell’atmosfere altrui. Credevasi con ciò perfezionata la teoria dell’atmosfere elettriche; ma un nuovo fenomeno, che in questo stato di cose si presentò non senza qualche sorpresa al Sig. Franklin, fece conoscere che ancor non eralo totalmente. Osservò quel grand’uomo, che non succedeva movimento alcuno, né si induceva alcun genere d’elettricità in un corpo posto in qualsivoglia atmosfera, quando questo non comunicasse col suolo. Ne seguiva da ciò che i corpi isolati resistono a qualunque sforzo dell’atmosfere d’indurre in essi contraria elettricità, nel qual caso cessa ogni elettrizzamento e movimento del tutto. Era questa una bella aggiunta da farsi alla teoria. Bisognava dunque verificar questo fatto, e determinarne tutte le sue circostanze. Priestley e Saussure, due altri nomi non meno celebri, si posero i primi a quest’impresa: ma si deve la gloria al P. Beccaria d’essere andato molto più avanti, e d’averla compita. Soddisfec’egli a ciascheduno di questi punti così pienamente in una nuova operetta trasmessa l’anno 1769. essa pure alla Reale Accademia di Londra, che nulla restò a desiderarsi su tale argomento[27].

Dopo tante e ricerche e scoperte l’indefesso P. Beccaria si sentì oramai in istato di rifonder da capo il suo elettricismo artificiale. Questa nuova fatica, a cui da gran tempo aveva volto il pensiero, venne finalmente in pubblico l’anno 1772. consacrata al suo Real Discepolo il Sig. Duca di Chablais, e onorata tosto dalle persone dell’arte col titolo di grand’opera[28]. La minor lode della medesima, sebbene non piccola, è la riforma d’alcune proposizioni meno accurate ne’ passati scritti: ma il suo gran pregio è l’ingrandimento, e la conferma con un lusso incredibile di vecchie e di nuove cose, proprie ed altrui dell’antico trattato[29]. L’equilibrio del fuoco elettrico, la sua circolazione, le leggi, che segue in diverse circostanze, le proprietà de’ corpi isolanti e deferenti, e mill’altre cose sì fatte sono quì stese con grand’ampiezza. L’atmosfere elettriche formano un articolo presso che nuovo; se la lor teoria era già stabilita, divien or gigantesca. Le nuove ricerche d’ogni genere o sull’azione della scintilla elettrica su’ corpi de’ tre regni, o sulla simiglianza del fuoco elettrico e del comune, o sulla cagione del magnetismo, o su gran numero d’altri soggetti non meno acconci a rivelare le più nascoste proprietà del fuoco elettrico, e la sua generale influenza nel gran sistema della natura promuovono l’antica dottrina a termini meno remoti. Né men la promuovono l’insigne moltitudine de’ nuovi fenomeni, che s’incontrano riferiti ad ogni passo; la spiegazione di tutti i quali, che naturalmente dipende, e necessariamente dalle premesse teoriche, forma poi tal conferma delle medesime, che rapisce l’assenso e l’ammirazione. Sebbene oltre a ciò i due fluidi o antagonisti del Symmer, o effluenti ed affluenti del Sig. Ab. Nollet vengono dimostrati con lungo esame ripugnanti ai fatti, e le molte esperienze, opposte già da particolari Filosofi, or da intere Accademie, trovan per tutto risposta tale da soddisfar quegli stessi che le proposero[30].

Mentre il P. Beccaria travagliava da una parte con tanto impegno all’accrescimento delle dottrine elettriche, non aveva obbliato dall’altra la misura commessagli del grado terrestre. Terminate, come si è detto, l’operazioni di campagna, e ridotti a fine i lunghi e tediosi calcoli, che richiede un tal lavoro, forse il più delicato e difficile, che l’Astronomia e la Fisica ci presenti, l’anno finalmente 1774. lo rendè pubblico dedicandolo al Re, e mettendo a parte della sua gloria il Sig. Ab. Canonica, come eralo stato delle sue fatiche. Questa nuova opera, che porta il titolo di Gradus Taurinensis, è un illustre documento che il P. Beccaria non era men valente Geometra ed Astronomo, che sommo Elettricista. O si consideri la sua diligenza nel preparare gli strumenti, o l’accorgimento nel prevenir quei difetti, che pajono inseparabili dai medesimi, o sivvero si ponga mente con quale intelligenza, con qual cautela ne fece uso, formò il necessario poligono, e formatolo lo ridusse all’Orizzonte, e tenne dietro a ciascuno di quegli errori, che ne’ gran triangoli posson nascere dalle circostanze del terreno, tutto fa fede di non volgare Geometria, e d’una consumata perizia astronomica.

Non dissimuleremo noi quì peraltro che ad onta ancora di tal perizia e sagacità, le operazioni del P. Beccaria parvero notabilmente difettose. Avea egli per giusti riflessi diviso l’arco celeste compreso fra ambi gli estremi del terren misurato in due porzioni ineguali. Quella al Nord di Turino verso le altissime Alpi Graje era in terra di 26153. pertiche, e quella al sud verso le più basse Alpi marittime di 38733. e la somma totale dell’arco 64887. Or cercandosi la misura del grado co’ soliti metodi e da ciascuna parte e dall’intero, come pur era permesso di fare, risultava questo tutte le volte molto diverso. Aggiungevasi a ciò che preso ancora il mezzo di tutti risultava un grado ciò non ostante maggiore del ritrovato nella Lapponia medesima, e la stessa lor differenza poi era maggiore della ritrovata frai gradi misurati al Perù e in Lapponia. Il Sig. Cassini di Thury principalmente, Astronomo di tanta celebrità, e così esercitato in simiglianti lavori, non lasciò di rilevar tutto ciò[31], e di rifonderne tacitamente la colpa nella poca esperienza e accuratezza del P. Beccaria.

Ma né l’osservazioni del Sig. Cassini, né le querele di verun altro potranno mai arrecar pregiudizio al suo nome. Egli avea già prevenuto nella sua opera quanto gli viene opposto: anzi non attendeva egli medesimo miglior successo dalle sue misure, ma tutto il lor difetto più che a propria mancanza, dimostra doversi all’azione sul pendolo del settore delle vaste montagne al Nord e al Sud, fra le quali avea dovuto operare. Fece ancora passi maggiori: avvisò che avendo giudicato in conseguenza di tale azione l’arco celeste più acconcio a mostrare l’alterazion del grado dalla sua vera proporzione, che la proporzion medesima, fu questa la ragione, per cui lo divise, e lo divise appunto in luogo, dove separandosi in certa guisa l’azione de’ monti Boreali ed Australi, si potesse distinguere il valore di ciascheduna in parti opposte. Passò quindi a stabilire il metodo per valutarle, e il metodo dà una deviazione nel pendolo di circa 25''. verso l’Alpi settentrionali, e di 4''. verso le marittime. Né quì si arrestò; ma dopo aver dato l’idea d’un nuovo settor senza pendolo, attissimo perciò a simiglianti misure, dopo aver accennati i difetti del Barometro del Sig. de Luc, e la maniera, con cui gli avea tolti, e reso il medesimo d’un uso più facile e più sicuro, narrò come con esso alla mano visitasse non senza travaglio immenso[32] le lunghe catene de’ monti all’estremo settentrionale dell’arco misurato, e l’enormi moli osservasse, e misurasse le loro altezze, aggiungendo un’ampia descrizione delle medesime, la quale come serve mirabilmente all’istoria delle montagne, così rimuove ogni dubbio, che la straordinaria deviazione di 25''. non possa essere un loro effetto.

Pare incredibile, che non si sia posto mente a tutto questo; onde è che il P. Beccaria stette lungamente perplesso se dovea far’alcuna replica al Sig. Cassini. Ma risolutosi alla fine gli replicò con manifesto acquisto di causa in sette brevi lettere[33] piene d’energia, nelle quali gli fece vedere, che la maggior parte de’ gradi fin quì misurati non va esente dalle riprensioni, che si fanno al Turinese, senza eccettuare nemmeno i gradi prolungati nel meridiano di Parigi dal Sig. Cassini medesimo e dal Sig. Ab. Della Caille: che le loro irregolarità, dato che la figura della terra sia regolare, non si sono da veruno ascritte a colpa dei misuratori, i quali non son tenuti che ad osservare e misurare, come disse pure il Sig. della Caille a difesa del suo grado Africano, ma ai monti adjacenti o frapposti al terreno, in cui si son prese le misure. E però esser patente ingiustizia voler ascrivere, piuttosto che a tali circostanze, a difetto de’ misuratori le irregolarità del grado Turinese, il quale non a caso, ma apposta, a fine appunto di confermare con evidenza sempre maggiore la gran verità dell’attrazione delle montagne, fu preso in mezzo a catene di monti cotanto insigni; che tale attrazione annunciata da Newton, verificata da Bouguer a Chiomboraco, e da Maskelin per ordine del Governo confermata a Scheallien, era ormai un capo saldo, e che le masse immense delle montagne poste alla parte settentrionale del grado Turinese difendono abbastanza la quantità della deviazione del pendolo verso le medesime per quanto possa parere eccessiva.

La commissione e la difesa del grado Turinese ridotta così al suo termine, tornò di nuovo il P. Beccaria a’ suoi studi prediletti, l’elettricismo. Avea già promosso l’artificiale fin dove le circostanze del tempo potevan permetterlo; si volse dunque a promuovere il naturale d’importanza molto maggiore. Cominciò dal considerare ora l’elettricismo atmosferico a ciel sereno, dopo averlo considerato nelle lettere al Beccari a ciel turbato e specialmente burrascoso. Era questo un argomento presso che intatto. Lo trattò egli con gran corredo di nuove osservazioni in tre lettere[34] a soggetti illustri, che raccolte insieme furono umiliate al Real Principe di Piemonte. A ciel sereno l’atmosfera è costantemente elettrica, e elettrica per eccesso; più o meno fortemente, secondo che la costituzione dell’aria è più o meno asciutta, e tale stato dura dal principio del rasserenarsi del cielo fino al punto del rannuvolamento; né si altera o cangia in stato di elettricità contraria, se questa non venga trasportata per mezzo del vento da nuvoli anche remotissimi che ne mancano[35]. Ecco le risultanze delle due prime lettere, nelle quali si trova inoltre descritto il periodo giornaliero di tale elettricità. Nella terza rivolge il P. Beccaria le sue attenzioni alla guazza[36]. Contro la comune aspettazione scuopre in essa un’elettricità anche più intensa: ne mostra le sue proprietà, fissa le sue circostanze, l’imita con un ingegnoso artifizio, e pone fuor d’ogni dubbio la sua scoperta[37].

Sebbene qual parte del naturale elettricismo non ingrandì egli colle sue lettere, dacchè adottò questo metodo di scrivere forse il più conveniente alla diversità de’ soggetti[38]! Dimostrò in una[39] l’elettricismo delle stelle cadenti: propose in un’altra[40] un occhiale elettrico per ispira la luce nella scossa della Torpedine: in questa scuoprì[41] due nuovi punti di analogia del magnetismo indotto dal fulmine ne’ mattoni e nelle pietre ferrigne con quello indotto nel ferro stesso; in quella additò[42] una nuova serie di attenzioni, che necessariamente richiede la pratica di deviare i fulmini per mezzo de’ conduttori. Comparisce il libro del Sig. Nairne sull’utilità di questi conduttori; ed ei ci fa risovvenire[43] di due antiche sue predizioni, e richiama ad un principio da se stabilito l’esperienze del Sig. Nairne, e quelle del Sig. Volta sui conduttori di piccolo diametro. In oltre poi ora congettura[44] sopra alcuna particella, che riluca nel disco della Luna interamente oscurato, fenomeno forse non alieno da elettricismo: ora presenta[45] la descrizione d’un nuovo suo ordigno disegnatore de’ fulmini in quanto al loro numero, forza, tempo e direzione e lo appella ceraunografo; ora[46] risponde a diverse questioni, che in occasione de’ tremoti di Bologna furongli proposte, ed ora[47] prende a far vedere la naturalezza della cagione efficiente de’ temporali e fenomeni compagni.

Né solo il naturale elettricismo ricevè in questo tempo ingrandimento dalle sue lettere, ma non minore ancora l’artificiale. Scrisse al Sig. Landriani sullo spezzamento de’ vetri nell’atto della scarica e sopra un nuovo elettrometro[48]; al Sig. Ab. Fromond sul cangiamento di colore prodotto dal fuoco comune egualmente che dall’elettrico[49]. De’ fiori elettrici scrisse al Sig. Tiberio Cavallo[50]; e dell’azion del fuoco sulle calci metalliche al Sig. Priestley[51]. Un esperimento del Sig. Cigna dimostra effettuarsi i movimenti elettrici anche ne’ fluidi non elastici; lo conferma egli[52], e lo stende con nuovi esperimenti, confronta i fenomeni di questi con quei dell’aria vaporosa elettrizzata, e tutto cospira ad avverar la legge de’ movimenti elettrici già stabilita nelle lettere al Beccari.

Che se prevenuto dalla morte né sull’uno, né sull’altro elettricismo di più potè pubblicare, contuttociò, per quanto concerne il naturale, lasciò in mano del Sig. Conte Balbo[53] suo gran Protettore ed Amico quattordici lettere sul fulmine e suoi accidenti e relazioni, ed una sui baleni a caldo già pronte per la stampa: un’altra pure, sebben non del tutto compita, sull’Aurore Boreali con molte osservazioni delle medesime, oltre un’infinità d’altri travaglj non meno importanti, e degni tutti nello stato, in cui sono, d’essere donati al pubblico. Fanno una bella parte di essi gran numero di descrizioni degli effetti osservati de’ fulmini. Ne fanno una più bella diverse carte sul lume zodiacale attribuito arditamente ad elettricismo di rugiada nell’alta atmosfera, sulle trombe marine, sul fuoco di S. Elmo, sulla razzaja[54] osservatasi in Siena dopo che il fulmine colpì il conduttore della pubblica torre, sulla maniera di preservare gli edifizj dai fulmini, e specialmente i magazzini della polvere. Né certamente ne fanno una meno pregevole due giornali d’osservazioni, metereologiche [sic] l’uno e d’elettricità atmosferica, l’altro di tremoti e d’elettricità pure atmosferica per l’abbondanza e valore de’ materiali che contengono.

Lasciò pure nelle mani stesse diverse memorie riguardanti l’elettricismo artificiale. Tali sono molti fogli sulla forza espansiva del fuoco elettrico, sulla teoria de’ corpi isolanti, sull’elettricità vindice, sull’adesione elettrica, e tali varj giornali di esperienze e considerazioni, che rimangono ancora inediti a danno della scienza elettrica.

Per quanto dunque ei pubblicò, e per ciò ancora ch’egli ha lasciato manoscritto sull’elettricismo chiaro apparisce ch’ei fu l’eroe di questa scienza; che se ella da piccoli principj è giunta nel corso di pochi anni a grandezza tale da abbracciar già una vasta parte della natura, devesi ciò principalmente a’ suoi talenti, alla sua penetrazione, alle sue non mai interrotte osservazioni. Priestley, il grand’Istorico dell’elettricità, lo confessò francamente, dopo aver dato il suo a ciascheduno, tutto quanto, seguita egli, venne dagl’Inglesi e dai Francesi elettricisti sperimentato riguardo al fulmine ed all’elettricismo è di gran lunga inferiore a quello, che fece il P. Beccaria in Turino. L’attenzione da lui adoperata nel considerare i diversi stati dell’atmosfera: la sua attitudine a far l’esperienze, il suo apparecchio nel farle, l’estensione delle sue combinazioni facendole, la somma sua esattezza nell’esporle, il giudizio nell’adattarle alla teoria generale, oltrepassano tutto ciò che prima e dopo di lui avevano i fisici operato. E quantunque io volessi pur dare un compiuto ragguaglio delle sue esperienze e delle sue osservazioni, ciò non ostante non potrei recare a’ miei lettori se non un saggio assai leggero della vastità, della varietà, dell’importanza de’ suoi lavori [55]. Né questa è la sola confessione, che Priestley fece di tal verità: tutte le sezioni della sua storia son piene di simili testimonianze, e la grande e dotta nazione Inglese ne fu così persuasa, che prontamente tradusse nel proprio linguaggio le sue opere elettriche[56].

Sebbene per quanto foss’egli invaghito del mondo elettrico, in cui regnava, passò ciò non ostante talvolta a trattare ancora altri argomenti, ne’ quali non meno si segnalò. Si difese contro il Sig. Wilson sulla luce, che mostra al buio il fosforo di Bologna fatto secondo il metodo di Canton, e illuminato a traverso a vetri colorati. Gli fè vedere che, poiché l’esperienza, di cui veniva accusato, non era riescita a bravissimi sperimentatori, e molto più perché la conobbe opposta all’esperienze del Sig. Zanotti, ei l’aveva già ritrattata, e intanto convince lui stesso di gravi errori, e forse di non molta sincerità[57]. Spiegò al Sig. Ab. Amoretti[58] il suo sentimento sulla luce delle Lagrime Britanniche. Oltre a un nuovo settor senza pendolo proposto nel grado Turinese per la sicurezza dell’osservazioni, architettò per l’uso medesimo un mezzo cerchio di marmo di straordinaria grandezza, di cui accennò la costruzione al Sig. Canonico Fromond[59]. Accennò pure all’istesso[60] la necessità di rapportare le refrazioni de’ corpi celesti non solo alle variazioni del Termometro e del Barometro, ma a quelle ancor dell’Igrometro, riflettendo con gran ragione, che siccome l’umido piovoso solleva l’immagin de’ corpi, così la rugiada cadente la sera e la mattina, così l’umido giornaliero sospeso dal calore dee produrre a proporzion l’istesso effetto. Che più? Fece una traduzione dall’Inglese dell’osservazioni di Franklin intorno all’accrescimento degli uomini e alla popolazion de’ paesi: compose un bel saggio dell’opera del Sig. de Luc sulle mutazioni dell’atmosfera: un altro chimico-fisico dell’acque termali di Vinai, ed oltre a ciò due memorie assai notabili sulla possibilità d’una legislazione intorno alla misura dell’acque sufficientemente esatta, e comunemente intelligibile, e sul misuratore[61] da adoperarsi ovunque si vorrà dare o ricevere una determinata quantità d’acqua. Ma tutte queste operette rimangono ancora frai manoscritti.

Abbiamo sicura notizia, che già si sta preparando una compita edizione di esse, e di quant’altro dell’istessa mano si trova inedito[62]. Ce ne rallegriamo con noi medesimi, e ne avanziamo al pubblico le nostre congratulazioni; ma non si deve intanto convenire, che una serie sì lunga di così eccellenti lavori ci fanno vedere nel P. Beccaria uno di quei gran fisici, che fanno onore al suo secolo e alla sua nazione? Che maraviglia è dunque, se il suo nome fu in gran pregio non sol fra noi, ma per tutto altrove, oltre i confini ancora del vecchio mondo? I più gran filosofi d’Europa e d’America furono in corrispondenza di lettere col medesimo. L’Accademie di Bologna e di Londra lo accolsero a gara nel loro seno; e Franklin, l’istesso Franklin lo stimò, l’amò, l’onorò in diverse maniere, e a lui dedicò a preferenza il suo elegante strumento, che in grazia della nostra favella chiamò l’Armonica[63].

Ma se la gloria del fisico e dell’elettricista fu così grande, minore non fu già quella del professore. Regnava ancora in Turino la fisica del Cartesio, quando fu chiamato il P. Beccaria: venn’egli, e seco portò il Newtonianismo. Portò seco l’osservazione e l’esperienza, e rimossi gli antichi sogni, e dissipate le vecchie tenebre, stabilì la vera filosofia. Le sue Istituzioni di Fisica Sperimentale, che restano ancora inedite[64], ma che scorrono ampiamente per tutti i regni della natura, i suoi discorsi, il suo esempio, fecero questa fortunata rivoluzione, che nell’Università di Turino formerà sempre un’epoca memorabile. Uscirono poscia da essa in gran numero in ogni parte della scienza naturale chiarissimi allievi; ma questi sono il maggior elogio del P. Beccaria. La nazione intera gli fa giustizia di questa riforma. La Reale Accademia di pittura e scultura[65] fondata da S. M. con regie patenti l’anno 1778. grata a questo merito, da cui riceveva i suoi primi e più fondamentali soccorsi, l’ascrisse fra i suoi Membri Onorarj, e il Re, che sovra ogni altro era soddisfatto dei servigi che con ciò aveva prestati allo stato e alla sua gloria, l’onorò costantemente della sua protezione, e lo rimunerò più volte con generose pensioni in aumento del primo stipendio[66].

Contuttociò convien confessarlo, ad onta di tali meriti e dell’alta riputazione, in cui visse, generalmente non fu amato né da’ suoi colleghi, né da’ suoi confratelli, né da’ suoi concittadini. Un esterno ruvido ed aspro anzi che nò; un non voler superiore, né soffrir compagno nei proprj studj, disgustò molti, a’ quali parve vedere in esso tale amor della propria lode, che giungesse a gelosia dell’altrui. Ebbe sempre non per tanto grande idea di Franklin e di alcuni altri suoi contemporanei, quantunque a lui emoli nella gloria e nella dottrina, né lasciò di darne sovente illustri testimonianze.

Ma già la vita del P. Beccaria si avvicinava al suo termine. Fino dall’anno 1776. fu assalito da grave malore, i di cui principj fu creduto doversi agl’incomodi sofferti nella misura del grado terrestre. Bisognò venire al ferro e al fuoco, aspri soccorsi, che somministra la chirurgia. Mitigaron questi i dolori alcun tempo, e arrecarono qualche notabile miglioramento. Ma il male fece tregua, e non pace: risorse, e si abbattè più volte con alternativa di travaglio e di riposo per corso di qualche anno. Quando nel 1781. finalmente rendutosi più ostinato e più fiero, e sopravvenuta inoltre una febbre intermittente in simili occorrenze sempre funesta, verso la fine dell’anno stesso dovette cedere alla sua violenza. È cosa degnissima di ammirazione, come in uno stato così penoso non cessò mai d’osservare, di sperimentare, di scrivere, qualunque volta calmatosi il male gli accordò un respiro. Ci giova credere, che l’altrui istruzione più che la propria gloria fosse il principale oggetto e di questi e d’ogni altro travaglio. Ma quando anche fosse diversamente, non posson per questo i viventi negargli la lor gratitudine, né dispensarsi dal mantenergli quel diritto, che coll’aver tanto promosso colla scienza la lor felicità, s’è acquistato, di non esser dopo la morte posto tutto sotterra[67].

 



[1] Al secolo Francesco [nelle altre due edizioni questa nota è sostituita da un inciso nel testo].

[2] A Mondovì ebbero natali non pochi Scolopi.

[3] A partire da questo punto vi sono differenze sostanziali rispetto alle due redazioni molto posteriori, del 1789 (Elogi di Uomini Illustri) e del 1793 (Edizione di Macerata). Noi riporteremo l’edizione originale sia perché la più “fresca”, sia perché la meno reperibile. Non tralasceremo di fare cenno alle divergenze più essenziali. È evidente comunque che le integrazioni, le omissioni e i ritocchi sono della stessa mano e che l’autore doveva essere un confratello scolopio, forse il Patuzzi, come sostiene il Picanyol, o il Barletti o il Caetani, che studiò al Collegio scolopico Nazareno di Roma. Sono da rigettare le ipotesi più accreditate: Fabroni, Prospero Balbo (Tega) e Bianucci (Pace). È importante infine rilevare che Gherardi non conosceva la redazione originale, apparsa nel Giornale dei Letterati di Pisa del 1783, e che ha compulsato tra di loro solo le due citate redazioni posteriori. Le modifiche del Patuzzi forse sono dovute a rimpasti per evitare doppioni con il riassunto del Priestley offerto ai lettori immediatamente dopo.

[4] È la casa madre di Roma degli Scolopi, annessa alla omonima chiesa sulla “strada papale”, oggi corso Vittorio Emanuele.

[5] Questo collegio fu fondato nel 1747 e fino alla fine del secolo ebbe un ruolo importantissimo nella istruzione pubblica e gratuita. Era detto “Nuovo” in contrapposizione al Nazareno, collegio di élite e ancor oggi esistente, e “Calasanzio” in onore del fondatore delle Scuole Pie, contemporaneo, seguace e forse addirittura amico personale di Galileo. Di tale collegio rimane solo l’epigrafe sul portone d’ingresso in via Arco dei Ginnasi, nel centro di Roma, a Largo Argentina.

[6] Di F. Gaudio è abbastanza nota una sua perizia sulla portata idrica della Cascata delle Marmore.

[7] Nome italianizzato o storpiato di Osaki o Csek.

[8] Si ricordano i certamen, i contraddittori col celebre Jacquier, gli esperimenti con la macchina elettrica, le declamazioni in occasione di lauree. Si veda anche quello che è aggiunto nelle due edizioni posteriori.

[9] L. 1200. di stipendio, e l. 1400. di trattenimento [nota originale].

[10] Nelle rielaborazioni successive a questo punto viene premesso un ampio cenno ai molteplici interessi del Beccaria anche in altri campi delle scienze fisiche.

[11] Nel 1746, per opera indipendente di Musschenbroek e von Kleist, come è risaputo (vedi Fig. 8).

[12] Si tratta del celebre esperimento di Franklin ripetuto e verificato da Dalibard.

[13] Da questo inciso traspare l’invidia di cui Beccaria fu oggetto sia in vita che dopo morto.

[14] Questa succinta descrizione dei fenomeni elettrici oggi, dopo circa tre secoli di progresso, ci appare ingenua e primitiva. Non bisogna dimenticare però che ancor oggi molti segreti della natura ci sono velati.

[15] È evidente qui il riferimento alla suddivisione cardinale istituita da Beccaria tra elettricismo artificiale e naturale.

[16] Per meteore venivano intesi tutti i fenomeni meteorologici: temporali, grandini, venti, ecc.

[17] Inizia qui il breve riassunto del libro di Beccaria mantenuto nella redazione del 1789, ma omesso, come già rilevato dal Gherardi, in quella del 1793, il cui testo passa direttamente al periodo che inizia con “Il merito di questo primo lavoro…”.

[18] Qui finisce l’inciso di cui si è detto alla nota precedente.

[19] Sotto dì 29. Luglio 1755 [nota originale]. La lettera originale si può facilmente trovare in rete (ad esempio alla Yale University).

[20] Nel 1754. Paris chez Ganeau in 8. [nota originale].

[21] Data de’ 9. Novembre 1753. [nota originale].

[22] Tutto questo paragrafo è omesso nella redazione del 1793.

[23] Il paragrafo viene troncato qui nell’edizione maceratese.

[24] Questa è la fine della parte omessa nell’edizione maceratese. Forse perché Patuzzi ha ripreso e molto ampliato questi argomenti nelle “Aggiunte degli Editori” (vedi Indice-Sommario, p. 13).

[25] È l’eterno problema, che assillò tanti fisici, per esempio il Barletti che lo confessa in [Barletti 1776 b] e che forse continua ancor oggi ad abbagliare qualche fisico, della sensazione che l’elettricità positiva sia diversa qualitativamente, e non solo quantitativamente, da quella negativa.

[26] Nelle due edizioni successive c’è questa nota esplicativa: Nelle sue private e pubbliche esperienze soleva caricare un piccolo mortaio di cera con una goccia d’acqua, e postovi sopra un globetto di legno, nell’atto che si fa passar la scintilla per la goccia d’acqua, il globetto è scagliato alla distanza di alcuni piedi.

[27] Si tratta di [Beccaria 1769 b].

[28] A questo punto nelle due edizioni successive si trova un cenno alla magnifica traduzione inglese di tale capolavoro, cenno da cui traspare anche dell’amarezza per l’insensibilità mostrata dall’Italia.

[29] In particolare l’inserimento di ben 11 tavole fuori testo con accuratissime incisioni degli strumenti usati dal Beccaria nelle esperienze dettagliatamente descritte nel testo.

[30] Nelle edizioni successive segue a questo punto un trafiletto ancora più apologetico sul Beccaria.

[31] Mercure de France dediè au Roi par une Societè de gens de lettres; Juillet, seconde volume pag. 183. [nota originale, soppressa nell’edizione maceratese].

[32] Le lunghissime trasferte a cavallo, le notti passate all’addiaccio o in rifugi di fortuna per mirare le stelle furono la causa scatenante dell’atroce attacco di emorroidi che colpì il Beccaria negli ultimi anni della sua vita. Vedi [Vassalli Eandi 1816].

[33] Lettere d’un Italiano ad un Parigino intorno alle riflessioni del Sig. Cassini de Thury sul grado Torinese. Firenze 1777. [nota originale, soppressa nell’edizione maceratese].

[34] La prima al Sig. March. Di Carrone de’ 16. Maggio 1775. L’altre due al Sig. Cav. Pringle Presidente della Società Reale di Londra 14. Luglio, e 2. Agosto 1775. [nota originale, soppressa nell’edizione maceratese].

[35] Nelle riedizioni successive a questo punto è inserita una importante aggiunta.

[36] La guazza è una rugiada abbondante.

[37] Da questo punto, dove comincia la descrizione degli scritti minori e degli inediti, e fin quasi alla fine del testo, vi sono molti rimaneggiamenti e non è possibile rilevare dettagliatamente, come abbiamo fatto sinora, le differenze tra la redazione originale del 1783 di questo Elogio anonimo e le successive del 1789  e del 1793. Queste due peraltro, a meno delle piccole discrepanze puntigliosamente rilevate dal Gherardi, sono equivalenti.

[38] Nelle edizioni successive questa frase esclamativa diventa, stranamente, interrogativa.

[39] Al Sig. le Roy, V. Scelta di opusc. Turino 1776. vol. 2. [nota originale, soppressa nell’edizione maceratese].

[40] V. vol. 7. [nota originale, soppressa nell’edizione maceratese].

[41] V. vol. 9. [nota originale, soppressa nell’edizione maceratese].

[42] V. P. S. della lettera al Sig. Can. Fromond. 1779. opusc. Di Milano par. 6. [nota originale soppressa nell’edizione maceratese].

[43] Ibidem. [nota originale, soppressa nell’edizione maceratese].

[44] V. Opusc. di Milano Tom. 3. par. 3. 1780. [nota originale, soppressa nell’edizione maceratese].

[45] Al Sig. Conte Balbo. Turino 1780. [nota originale, soppressa nelle edizioni successive].

[46] Al Sig. Conte della Motta. Turino 1780. [nota originale, soppressa nelle edizioni successive].

[47] Al Sig. Conte di Brusisco. Turino 1781. [nota originale, soppressa nelle edizioni successive].

[48] V. Scelta d’Opuscoli Turino 1776. v. 2. [nota originale, soppressa nell’edizione maceratese].

[49] Opuscoli di Milano. Tom. 2. par. 6 1779. [nota originale, soppressa nell’edizione maceratese].

[50] Ibidem. Tom. 3. par. 4. [nota originale, soppressa nell’edizione maceratese].

[51] Ibidem. Par. 6. [nota originale, soppressa nell’edizione maceratese].

[52] Ibidem. Par. 3. [nota originale, soppressa nell’edizione maceratese].

[53] Anche da ciò si poteva arguire che difficilmente l’estensore dell’Elogio poteva essere Prospero Balbo.

[54] La razzaja dovrebbe essere una sorta di terreno inaridito.

[55] Histoire de l’Electricité Tom. 2., period. 10., pag. 181. [nota originale, soppressa nell’edizione maceratese].

[56] In rete si possono trovare varie edizioni di questo celeberrimo libro di Priestley.

[57] Lettera de’ 29. Mag. 1776. In Turino. [nota originale, soppressa nell’edizione maceratese].

[58] 16. Agosto 1780. Opusc. di Milano Tomo 3. par. 4. [nota originale, soppressa nell’edizione maceratese].

[59] Ubi supra ecc. [nota originale, soppressa nell’edizione maceratese].

[60] Ibidem. [nota originale, soppressa nell’edizione maceratese].

[61] Un semplice sifone.

[62] Questa frase, preziosa per vari motivi, manca in entrambe le edizioni successive di questo Elogio anonimo. La prima considerazione è che il suo autore non può essere il Conte Prospero Balbo, in quanto era proprio questi che aveva preso l’impegno di pubblicare l’opera omnia del Beccaria. La seconda che si sono lasciate disperdere carte assolutamente preziose. Vedi in [Vendola 2000] notizie sul Fondo Patetta.

[63] In rete si trovano facilmente immagini e notizie su questo strumento inventato da Franklin.

[64] Circa quaranta anni fa, meritoriamente, è stato recuperato qualcosa. Vedi [Tega 1969].

[65] Fu un socio di tale Accademia, il conte Agostino Tana, a scrivere il primo, sia pure breve e apologetico, Elogio del Beccaria. Vedi [Tana 1781].

[66] A dì 5. Agosto 1774. R. Biglietto di pensione di l. 500. A dì 1. Ottobre 1779. lettere per altra pensione di l. 600. : se gli pagava inoltre la pigion di casa. [nota originale, soppressa nell’edizione maceratese].

[67] Beccaria fu vergognosamente sepolto in una fossa comune, senza l'epigrafe del Vernazza (Fig. 1).