8. Il segno inanalizzabile

       

Come ho già accennato, e come del resto è facilmente immaginabile, l’avvento del fonografo spinse schiere di ricercatori (Hermann, Scripture, Pipping, Rousselot, Bevier, Donders, ecc.) allo studio e alla “lettura” dei “fonogrammi” sulla stagnola, e già dal primo lavoro[1] ci si accorse che l’analisi poteva farsi solo nel caso di voce sostenuta. Confrontando le impronte della vocale a cantata (riga A del grafico), con il profilo del solco, o meglio sezione, (riga B) e con il sistema di registrazione più affidabile dell’epoca, le fiammelle manometriche di Koenig (riga C), si poteva infatti cogliere una qualche periodicità, mentre riuscire a “leggere” le parole era impresa molto ardua, malgrado queste fossero perfettamente comprese all’ascolto[2].

La difficoltà di lettura[3] dei segni sbalzati e la refrattarietà della scrittura fonografica o “anagliptica” all’analisi tradizionale, scientifica, essenzialmente statica, sembrò dipendere dalla grossolanità della macchina (inerzia di leve, attriti, ecc.), dalla inadeguatezza della “risposta” delle membrane (alcune “sentivano” solo la a e la o) o dalle variazioni di fase delle “armoniche” della voce in funzione della distanza da cui si parlava. Il progresso scientifico allora, come è notorio, portò all’abbandono della (apparente) modulazione verticale del fonografo e al recupero (a partire dal grammofono di Berliner) della più affidabile modulazione orizzontale dei logografi.

Le cose in realtà erano molto più complesse: il fonografo non si poteva leggere per il semplice fatto che esso non scriveva, ma lasciava solo indizi delle parole. Queste orme, questi segni, inanalizzabili al microscopio della scienza (analisi statica), erano invece accessibili al, diciamo, “cronoscopio” (analisi dinamica) della mente umana, perché tutti siamo detective inconsapevoli, eccellenti “lettori di orme”, e all’orecchio bastano pochi elementi del suono complesso per ricostruire o “rivelare[4] una frase.

Bisogna chiarire. La nostra scrittura, lo sappiamo tutti, è fonetica. Ad ogni grafema (lettera alfabetica scritta) corrisponde un fonema, un suono. Ma cos’è il suono? Ecco le concezioni forse più idonee: “Il suono è il movimento che diventa sensibile a distanza. Il riposo è muto. Ogni suono, ogni rumore annuncia un movimento. È la telegrafia invisibile di cui si serve la natura[5]. “Per misurare la forza fisica ci sono i dinamometri, mentre non esistono strumenti con cui misurare la forza del suono e non resta quindi che affidarsi al proprio orecchio[6]. Stando così le cose non resta che seguire l’antico insegnamento di Leonardo: studiare prima il colpo e poi la voce. Mutatis mutandis: studiare prima il moto (causa) e poi il suono (effetto). Fin quando però non si avrà la percezione netta di queste due facce del fenomeno sonoro non se ne potrà sceverare il versante articolatorio (movimento, vibrazione meccanica) dal versante acustico[7], entrambi peraltro indissociabilmente compresenti anche in ogni moderno apparato elettroacustico. Questa distinzione, già rilevata nel Morse fonetico (telelinguistica), è però fortunatamente evidentissima nel fonografo di Edison.

Riconsideriamo a tal fine i tre diagrammi A B C riportati in apertura di capitolo e associamoli, con una piccola licenza didattica, ai tre parametri elencati al cap. 5:

A = impronte, orme, tacche o ammaccature lasciate sulla stagnola;

B = movimento articolatorio di martello e punzone (ovviamente solidali tra loro);

C = suono prodotto dai microscopici, ma pur presenti, colpi dell’articolazione.

È evidente che ambiente articolatorio B (causa) e ambiente fonetico C (effetto) sono in strettissimo rapporto[8]. Il secondo può far risalire al primo “in qualche misura” e con un margine di tolleranza che è certamente trascurabile, almeno fin quando non si cerca di penetrare nel segno (sema) per coglierne lo sfuggente significato. Grazie alle scoperte di Buccola e di Lucidi vedremo che questo errore sarà minimo nel caso di parole costituite o meglio composte da suoni semplici (timbrate, estense, iposemi), e massimo invece nel caso di parole costituite da suoni complessi (intense).

 

INDIETRO



[1] A. M. Mayer, La machine parlante de M. Edison, Journal de Physique, 1878. Vedi anche Niaudet (cit.)

[2] Con la riserva, beninteso, come abbiamo già osservato, che fossero state preventivamente conosciute (vedi Lucidi News 57). Anche A. Stefanini sottolinea il fenomeno, notato quando, da giovane, assistette alla presentazione del fonografo a Pisa (I recenti studi sulle vocali, Archivio italiano di Otologia, 1909).

[3] Sottolineata anche da A. Ròiti, Elementi di Fisica (svariate edizioni).

[4] Intendo “rivelazione” in senso radiotecnico (demodulazione, detector a galena, ecc.) o investigativo (soluzione di un enigma, detective, ecc.) e non nel senso di rivelazioni “mistiche” o inconcludenti, per non dire pazzoidi, sulla “natura del linguaggio”, l’“origine del pensiero”, ecc. Vedi Buccola News 29.

[5] R. Radau, L’acustique, Parigi 1880, p. 1 (terza edizione).

[6] Vedi K. Vierordt, Die Schall- und Tonstaerke, Tübingen, 1885, p. 9.

[7] Vedi anche Acustica o Meccanica? (Lucidi News 69) e Fisiofisica della voce (Lucidi News 13).

[8] Tanto che spesso non si tiene conto della distinzione se non nei casi di patologia (sordomuti, ecc.).