3. La mano nuda

I muscoli della mano sono quelli più psichici” e N. Vaschide – il Buccola francese, morto anche lui giovanissimo e quasi ignorato – lo dimostra sin dall’atteggiamento della sua mano nella foto che apre la sua opera principale, Psychologie de la main, pubblicata postuma nel 1909 a Parigi, un libro da cui ci sarebbe molto da imparare.

Stando a contatto con i malati Vaschide scoprì bene la differenza tra sensibilità di contatto e sensibilità di pressione della mano. I muscoli della mano che scrive, che telegrafa, che suona strumenti, che stenografa, che dattiloscrive e che funziona per infiniti altri compiti possiedono una sensazione tutta particolare per la pressione. La stretta di mano e l’impugnatura delle dita classificano subito un uomo: si sente o si coglie la paura, o l’assenza di franchezza, o una sensibilità interiore inquieta, gelosa, gioiosa, pretenziosa, astiosa. Come la voce anche la mano non può mentire.

Un grande capitolo di psicologia sperimentale è stato scritto grazie alle reazioni della mano, soprattutto nell’atto dello scrivere, che esige non solo una certa coordinazione motrice, ma un’abilità (skill) tutta particolare. La mano tutta intera si trasforma in un apparecchio unico. Certi malati scrivono bene a matita e male a penna: essa rende al malato lo stesso servizio che la stampella rende allo storpio. Il modo di afferrare la matita poi, soprattutto se è corta, è diverso da quello di afferrare la penna.

Vaschide, che ha curato (ad esempio col “guidamano” della Morse News 6) ogni sorta di “follia muscolare” (contratture, afasie, agrafie, dislessie, ecc.), non conosce alcun caso di crampo dei dattilografi, forse perché qui la mano gioca un ruolo automatico e non modella nulla, né subisce alcuna modificazione subcosciente come nella manoscrittura.

La mano che scrive nuda – anche se a rigore essa è pur sempre munita o “armata” di penna[1] – è magistralmente studiata anche da C. Vogt, E. Javal (per i quali rimando a Fonti on line e AG 11) e A. Bertillon[2], il fondatore dell’antropometria giudiziaria, che, forse per primo, capì che non bisogna attaccarsi o limitarsi alla forma più o meno geometrica o più o meno elegante della pagina scritta, come si fa in grafologia, o all’opposizione estetica, o calligrafica, dei filetti e dei pieni alla quale lo scrittore, con più o meno sforzo volontario, si conforma. Bisogna cercare invece di risalire ai movimenti fatti all’atto della redazione, stesura o, letteralmente, “tessitura” del testo.

La posizione di corpo, avambraccio, polso, dita e poi la pressione o forza muscolare soprattutto di indice e pollice sul portapenna sono essenziali, come in telegrafia, per regolare l’asteggio o la pendenza generale della scrittura e in particolare del famoso (almeno in altri tempi!) e pur misterioso “colpo di penna” (stroke, coup de plume). Per produrre una lettera completa servono in media 5 colpi di penna e, ovviamente, altrettanti stacchi o “levate di penna” dal foglio che ha appena ricevuto l’inchiostro.

Questi “grafismi”, queste minuzie un tempo studiate da schiere di inventori di sistemi stenografici alla ricerca della miglior scrittura se non della “scrittura dell’avvenire”, custodiscono gelosamente un segreto, anch’esso un tempo cercato da molti fisiologi, e cioè quello della “memoria organica” di Hering[3] e, specialmente, di Buccola[4]. Se nell’atto della scrittura la penna è come se ripassasse su un percorso o ductus, quasi “fonograficamente[5] immagazzinato nel cervello, tuttavia per un falsario, anche il più smaliziato, il colpo di penna è il “carattere” più difficile da imitare, per il semplice fatto che si tratta di una “scossa muscolare” involontaria e non “consegnata”, né consegnabile, alla pagina.

“La mano, scrive Heidegger (vedi Cap. 4), è l’elemento essenziale e distintivo dell’uomo. Solo un essere che, come l’uomo, ha la parola, può e deve avere la mano. Sebbene la mano serva per pregare e uccidere, salutare e ringraziare, giurare e segnalare, essa è anche utensile da lavoro. La stretta di mano suggella le unioni. La mano porta al lavoro di distruzione. La mano esiste come mano solo dove vi è rivelazione e occultamento. Nessun animale ha la mano, e una mano non nasce mai da una zampa, una chela o un artiglio. Perfino la mano di un disperato non è mai un artiglio che afferra selvaggiamente. La mano è nata con la parola e dalla parola. L’uomo non ha mani, ma la mano custodisce l’essenza dell’uomo, perché la parola come ambito essenziale della mano è la base dell’essere umano. La parola che si presenta alla vista è parola scritta. E la parola scritta è la “manoscrittura”.

INDIETRO



[1] Si leggano, ad esempio, le acute osservazioni dello stenografo Bonfigli reperibili nelle mie Fonti on line.

[2] A. Bertillon, La comparaison des écritures et l’identification graphique. Revue Scientifique, 1897-98.

[3] Vedi E. Tanzi e E. Lugaro, Trattato delle malattie mentali, Milano 1905, p. 158.

[4] G. Buccola, La memoria organica nel meccanismo della scrittura (vedi Fonti on line).

[5] J. M. Guyau, La memoria e il fonografo (vedi Fonti on line).