1.1 - Introduzione

 

 

Il mio interesse ai fatti prosodici risale al 1979, ed è stato finalizzato a costruire un dispositivo elettronico capace di discriminare nettamente le vocali aperte da quelle chiuse (che ritengo siano tuttora le brevi e le lunghe della metrica latina e greca). In altri termini il nostro linguaggio (soprattutto il recitativo) oltre al "segnale" analogico a cui siamo abituati possiederebbe la componente digitale prosodica della metrica quanti-tativa. Il testo base delle mie indagini è stato il "De Musica" di Agostino (ed ho letto anche, con interesse, il volume di Labov[1] nella Collana da Lei diretta). Sarebbe fuori luogo (e controproducente) per il momento aggiungere altro su questa apparentemente velleitaria ipotesi di Gaeta.

Nel febbraio 1984 mi sono imbattuto nel libro di Mario Lucidi[2] traendone la netta sensazione che le mie indagini avrebbero avuto una svolta decisiva. La distinzione tra sillabe intense ed estense collimava infatti perfettamente con quanto cercavo; inoltre il velato ricorso ad "analogie" elettriche e l'invito all'acustica dinamica calzavano a pennello con la mia forma mentis (Le ricordo che sono insegnante di elettrotecnica).

Iniziava con queste parole una mia importante lettera inviata a Tullio De Mauro il 17 giugno 1985, cioè subito dopo le tre interviste-lezioni rilasciatemi dall’insigne linguista sul suo antico maestro Mario Lucidi[3]. Anche se questa lettera ebbe l’effetto di far drasticamente cambiare l’atteggiamento del cattedratico, all’inizio apertissimo, nei miei confronti, ciò nonostante segnò l’inizio di un esilissimo rapporto scientifico tra me e il De Mauro, rapporto fatto di interessamenti più o meno genuini – e comunque sistematicamente discontinui – e soprattutto di silenzi e di incomprensioni, certamente reciproche, che culmineranno nei fatti incresciosi, e incredibili, descritti nel § 2.2 – Il disdegno di Tullio.

Un’altra lettera che ritengo utile premettere a titolo introduttivo, pubblicandola nella sua integrità, è quella indirizzata, circa tre anni dopo (26.3.88), a Renzo Titone, nella quale – sia pure concisamente – presento in modo un po’ più organico le mie ricerche scientifiche, nonché le mie invenzioni.

 

            Chiarissimo Prof. Titone,

mi risolvo a mettere a Sua disposizione tutto il materiale relativo al TOTOTONO, certamente abusando dell'attenzione, concreta e non formale, di cui Lei (e non altri, forse più in debito) mi è prodigo. Inoltre reputo necessario ragguagliarLa, nel modo più sintetico, anche sui miei collaterali interessi di fonetica, nella speranza di riuscire a raccordare al meglio tali documenti.

Sono laureato in fisica e insegno elettrotecnica negli istituti tecnici. Da 10 anni mi occupo di fonetica sperimentale, con un chiodo fisso: la spiegazione di quell'enigma neuronale per cui molti italiani, me compreso, non riescono a discriminare le vocali aperte da quelle chiuse. Ai miei esperimenti pratici ho spesso affiancato letture, a volte molto approfondite (anche se da "dilettante"), sulla metrica latina e greca. Potrei dire che due "Agostini", con le dovute proporzioni, hanno guidato all'inizio le mie ricerche: l'ipponense col "De Musica" e il Gemelli con "L'analisi elettroacustica del linguaggio" (ecco perché mi ha interessato molto il libro della Galazzi[4] che Lei mi ha segnalato).

Dall'inizio dell'84 però il mio maestro assoluto è diventato Mario Lucidi: un breve cenno si trova nei fogli allegati, ma la storia di Lucidi e delle mie scoperte (sulle sue scoperte!) è tutta da scrivere, e a questo spero di poter attendere nei prossimi anni (se avrò la necessaria serenità). Mi limiterò a dirLe, chiarissimo prof. Titone, che sono convinto che ancora oggi, anche in italiano, parliamo con le brevi e le lunghe della metrica classica quantitativa.

Nell'estate ‘85, sulla scorta di Lucidi (ma anche dei miei interessi sulle "crittografie mnemoniche" dell'enigmistica "classica"), ideai il gioco di fonetica TOTOTONO. Lo scorso anno ne realizzai la versione elettronica e la brevettai. Presto però mi resi conto che della fonetica dell'italiano non importava un fico secco a nessuno e, da questa ennesima delusione, nacque l'idea dell'utilizzazione per le lingue straniere.

Come già accennatoLe per telefono, anche in questo caso le incomprensioni (malgrado la Sua lusinghiera lettera di presentazione[5]!) e gli ostacoli da superare non mancano. Uno degli scogli maggiori (del quale però potrebbe essere Lei il deus ex machina) è, per esempio, quello della preparazione del software del TOTOTONO Sound Trainer.

Prima di concludere voglio esprimerLe, ancora una volta e a prescindere da quant'altro intenderà fare, la mia riconoscenza per l'aiuto già datomi. Per quanto riguarda le tematiche accennate (crittografie, crittofonie, Lucidi, prosodia, metrica, ecc.) non mi azzardo minimamente a chiederLe di entrare  nel  loro  merito,  anche perché  i  rischi  di  sconfinamenti (e impantanamenti) dal più circoscritto studio di una possibile nuova metodologia dell'insegnamento e/o apprendimento delle lingue, sarebbero più che concreti. Ho ritenuto però giusto che il valorizzatore del Tototono conoscesse, almeno sommariamente, la storia e le prospettive delle mie ricerche.

                                Con i migliori saluti.                        

Andrea Gaeta             

 

A beneficio di qualche sparuto e sprovveduto lettore che confonde le invenzioni con le scoperte non sarà inutile specificare che per invenzione si intende l’ideazione di qualcosa che prima non esisteva, mentre per scoperta il venire e/o mettere a conoscenza di qualcosa già esistente, ma ignorato. In questo opuscolo non si parlerà delle mie invenzioni, già ampiamente descritte altrove in questa Collana, mentre per quanto riguarda le mie “scoperte” occorre qualche ulteriore premessa[6].

Tutti, tranne gli stupidi, ogni giorno, senza accorgercene, “scopriamo”, veniamo a sapere, capiamo qualcosa o rettifichiamo una nostra idea sbagliata: come nascono i figli; perché ieri il televisore non funzionava; che il marito ha un’amante; e così via. Certo, assimilare la scoperta della gravità di Newton o la scoperta della tensività di Lucidi alla “scoperta” che l’acqua calda scotta può sembrare azzardato, irriverente o blasfemo, eppure il processo intellettivo è identico: l’acquisizione di una conoscenza. Le mie scoperte, è evidente, non sono al livello di quelle di Lucidi o di Buccola, ma sono cose che ho conquistato io, a fatica sempre e con sorpresa spesso. Ad esempio è stata ed è una scoperta sofferta e sconvolgente quella che ho fatto nel 2000 quando ho capito che il Bitnick non era stato capito o, ancor meglio, quando ho capito che non avevo capito che il Bitnick non era stato capito[7]! Oppure quella di quest’anno, anch’essa a scoppio ritardato, e ancora più scioccante, che io e il mio Bitnick eravamo stati diffamati[8].

Nei miei precedenti lavori, in particolare in quelli citati, ho ridotto al minimo indispensabile i riferimenti personali, ma forse è stato un errore perché essi sono utili, didattici e aiutano il lettore ad afferrare concetti nuovi, anche se in apparenza semplici o addirittura banali. A parte ciò, in questo specifico lavoro, i pochi dati autobiografici riportati saranno funzionali ad una vertenza legale in corso.

La vocazione per le ricerche l’ho avuta da sempre, ma non ho nessuna remora a confessare che fino alla tarda età di 37 anni i miei studi linguistico-filosofici sono stati ingenui, dilettanteschi e pre-scientifici. Solo dal 1979, come accennato nella lettera al De Mauro, ho imboccato la strada maestra delle biblioteche[9], formandomi una cultura abbastanza solida sugli argomenti a cui via via mi interessavo e sugli autori che se ne erano occupati prima di me.

Questi venticinque anni di ricerche si possono dividere, per comodità e grosso modo, in quattro fasi: 1979-1984; 1984-1990; 1990-1993 e 1993-2003.

 

 



[1] W. Labov, Il continuo e il discreto nel linguaggio, Bologna 1977.

[2] M. Lucidi, Saggi linguistici, Napoli 1966.

[3] Vedi A. Gaeta, Interviste su Mario Lucidi, Roma 1995.

[4] E. Galazzi, Gli studi di fonetica di Agostino Gemelli, Milano 1985.

[5] Vedi A. Gaeta, Gli Audiogiochi. Dal Tototono alla radio interattiva, Roma 1995.

[6] Purtroppo spesso le mie invenzioni e scoperte si sono mutuamente intrecciate e intralciate.

[7] Non si tratta affatto di banalità o di gratuiti contorcimenti di cervello. Si legga, con la dovuta attenzione, A. Gaeta, Il Bitnick incompreso, Roma 2000.

[8] Vedi § 2.2 - Il disdegno di Tullio.

[9] Principalmente tutte quelle di Roma (universitarie, nazionale, ecc.), lottando sempre coi loro cronici disservizi (lentezza, scioperi, difficoltà di fotocopiatura, smarrimenti, scortesia,…). Segnalo però, come lodabile eccezione, quella del Ministero PT. Alcuni lavori li ho procurati direttamente alla British Library.