Vecchi appunti preparatori di questo Atomo (2001)

 

In una delle mie prime letture importanti[1] si accenna, di volo, in una noterella, ai ritorni, ai ripensamenti, alle correzioni, alle ridondanze che avvengono – o dovrebbero avvenire!, insinua sottilmente l’autore – durante la realizzazione dell’atto grafico e che nella redazione finale, o in quella che prima dell’avvento della videoscrittura si chiamava “bella copia”, non si vedono più. Chiunque “compone”, del resto, sia esso uno studente alle prese con un tema o “componimento”, un compositore di musica, uno scienziato, un inventore, un poeta sa benissimo che gli aggiustamenti di cui sopra ci sono e ci devono essere, altrimenti non si parlerà di creazione ma di copiatura, plagio e simili[2].

Questa “selezione naturale” che avviene in ogni fase “evolutiva” del pensiero umano è ormai assodata. Meno noto, credo, è che questo “feedback psicologico” non solo ha un corrispettivo fisiologico e uno anche fisico nella manoscrittura, nel linguaggio parlato e nel linguaggio mimico, ma è stato scoperto da molto tempo ed è stato studiato, più o meno approfonditamente e scientificamente, da non pochi autori.

In questo lavoro si passeranno brevemente in rassegna solo i contributi più utili di quegli autori che hanno studiato la scrittura e più precisamente l’atto grafico nel suo farsi e non nel solo segno statico a cui siamo - fin troppo - abituati. Ciò significa, per esempio, che verranno tagliati fuori tutti i lavori di grafologia, disciplina che per quanto valida non può avere - come del resto l’equiparabile fonologia - alcuna stigmata di scientificità. Inoltre, essendo l’autore un fisico e non un fisiologo, sarà privilegiato, degli aspetti psico-fisio-fisici della manoscrittura, quello puramente estrinseco, dinamico, tecnico vale a dire la “meccanica grafica”.

L'intelligenza e la finezza del lavoro sperimentale escogitato e messo in atto da Buccola nell’esaminare i modi di funzionamento della memoria organica attraverso lo studio della scrittura rimangono fuori discussione[3] per i risultati relativi alla “legge del tempo” in tal modo raggiunti; ma è un fatto – un fatto di cui non v’è motivo di sorprendersi, e che anzi testimonia il livello della sua aggiornata preparazione scientifica – che tale lavoro è svolto da Buccola sulla base di una costante attenzione per il dibattito scientifico dell’epoca, del quale Buccola  condivide le prospettive teoriche di carattere se si vuole anche più “cosmologico”.

Queste parole di Stefano Poggi[4] sono forse le uniche, in 120 anni, che rendono un po’ di giustizia al poderoso lavoro sperimentale di Buccola sulla scrittura[5]. Altri, certo, si sono occupati di Buccola[6], ma in generale o, al più, soffermandosi – in genere per criticarla – sulla “memoria organica” (o della materia vivente, secondo il concetto risalente a Hering, Haeckel ed altri) e tralasciando del tutto il “meccanismo della scrittura” che da tale memoria deriva. In questo saggio non si affronterà il problema troppo impegnativo, dispersivo e secondo alcuni obsoleto della memoria organica – anche perché l’autore è un fisico e non un fisiologo né tanto meno uno storico – ma solo, o principalmente, quello puramente estrinseco, meccanico dell’atto grafico. I lettori che vogliono una visione più ampia, soprattutto dal punto di vista storico, possono trovare utili notizie, oltre che nel citato saggio di Poggi, nei pregevoli lavori di Lugaro, Luccio, Lanzoni. Solo Ribot (1882), Seppilli (1883), Tanzi (1886), e Dazzi (1977) accennano a risultati sul piano grafico, risultati a cui faremo riferimento nel corso della esposizione della tecnica di Buccola.

Si deve a Nino Dazzi, com’è noto, la riscoperta di Buccola, trenta o quaranta anni fa. Con semplici apparati sperimentali e col prezioso cronoscopio di Hipp (vedi AG 12) Buccola, studiando le dimensioni temporali di svariati processi psicomotori, trovò, come ben sintetizzato da Dazzi, che “il maggior sforzo cosciente è responsabile della maggiore variabilità dei tempi”. Ad esempio la riproduzione mentale dei movimenti della scrittura di parole forniva tempi regolarmente maggiori di quelli dei movimenti effettivi e Buccola ne dedusse che gli automatismi, come quelli impiegati nella scrittura, costituiscono una “memoria organica” tanto più sicura quanto più è fallace la “memoria psichica[7]. L'opera di Buccola però, conclude Dazzi, è rimasta storicamente isolata al suo stadio iniziale e non ha potuto svilupparsi, né tanto meno radicarsi per mancanza di un congeniale ambiente scientifico.

L’opinione di Dazzi non credo sia stata o sia molto seguita da molti contemporanei, ad esempio dal già citato Poggi, che se da un lato del Buccola sembra apprezzare i rilievi sperimentali “che evitano il riferimento a dati attinti per via introspettiva”, dall’altro gli rimprovera addirittura “mancanza di originalità”, riferendosi forse alla mancanza di una qualsiasi impalcatura o appariscente “teoria” filosofica.

Per i contemporanei di Buccola, altrettanto pochi, mi limito a citare Ribot (vedi qui a p. 30), Seppilli (vedi GA 10), Tamburini, Tanzi e Vogt.

L’ultima parte della “legge del tempo” è dedicata alla durata dei diversi “atti di scrittura”. Il metodo d’indagine ideato dal Buccola accoppia tanta eleganza alla sua estrema semplicità, che riesce veramente singolare. Una penna d’acciaio comune, scrivendo sopra una lastra di ferro, determina e mantiene il contatto elettrico, che fa ruotare l’indice del cronoscopio, in simultaneità col processo motorio in studio.

Nella scrittura interagiscono livelli sensori e livelli motori. Interazione tra il ricorso di immagini e di movimenti e la loro riproduzione ed associazione.

Non fu certo per pochezza d’ingegno che fallì al Buccola una sintesi nuova, cioè il più bel compenso che possa coronare un coraggioso ed assiduo lavoro… Altre ricerche, novelli studi, pieno raggiungimento della maturità intellettuale avrebbero favorito… Tuttavia alla Legge del tempo è assicurato uno dei posti più segnalati…

Non sempre Buccola dava indicazione esauriente della misura in cui attingeva ai lavori clinici e osservativi della ricerca fisiologica a lui contemporanea.

Nel rapporto tra suono vocale e segno grafico ha gran parte l'esercizio.

L'apprendimento della scrittura comporta un collegamento tra immagini visive e immagini motorie, che diventa una vera e propria associazione.

Maggiore naturalità della scrittura di tipo centrifugo.

L’emisfero sinistro ha la funzione di regolare i movimenti della scrittura e di presiedere le funzioni del linguaggio. Intima connessione tra linguaggio e scrittura, per cui si può affermare senza margine di equivoco che esiste una duplice fonte del meccanismo per cui viene ricordata la parola scritta: da una parte la memoria dei segni scritti come percezione visiva, dall'altra la memoria dei segni come forma di movimento; da una parte le funzioni dell’emisfero sinistro (nel quale si realizza la rappresentazione della forma delle lettere), dall’altra quelle propria dell’emisfero destro, che mostra di possedere una specifica capacità di sovrintendere alla rappresentazione grafica delle lettere. L’esperienza conduce a stabilire una perfetta equivalenza tra le immagini visive e quelle acustiche della parola parlata e ci abitua a compiere movimenti di innegabile complessità allorché impariamo a scrivere.

“Prima di segnare sulla carta il simbolo grafico noi abbiamo una visione interna della figura della lettera o della parola, che, integrandola, rivestiamo con la memoria di quei movimenti vari e complessi, alla cui esecuzione, dapprima con grande sforzo di volontà e dispendio di energia muscolare, ci ha abituati l'esperienza tutte le volte che dovevamo tradurre con segni sensibili le nostre idee”.

La scrittura è la lingua della mano (calligrafo arabo).

 



[1] T. De Mauro. Tra Thamus e Theuth. Uso scritto e parlato dei segni linguistici.  In “Senso e significato”, Bari 1971.

[2] Anche i compositori tipografici e le dattilografe delle copisterie, almeno prima di essere di molto aiutati nel loro lavoro dall’elettronica (composizione automatica, formattazione, spaziatura proporzionale, giustificazione, ecc.) e almeno quelli più intelligenti, non erano scevri da esitazioni, ripensamenti, prove varie prima di scegliere le soluzioni più appropriate e definitive.

[3] Fuori discussione nel senso, purtroppo, più letterale: non se ne discute affatto!

[4] Memoria ed evoluzione organica nella concezione di Gabriele Buccola, in Atti del Convegno nel centenario della morte di Gabriele Buccola. Palermo e Mezzojuso. 1986.

[5] La memoria organica nel meccanismo della scrittura. Ricerche sperimentali. Rivista di filosofia scientifica, 1882. Questo saggio è quasi integralmente (vedi oltre) riportato anche nel libro principale di Gabriele Buccola, La legge del tempo nei fenomeni del pensiero, 1883, costituendone il coronamento.

[6] Vedi A. Gaeta, Strumenti su Gabriele Buccola. Teorie e modelli, V, 1-2, 2000. Vedi anche, in questa collana (AG 1, 1995), il Repertorio bibliografico 1.0.

[7] La memoria organica, secondo la definizione dell’Hering, consiste in automatismi aventi un funzionamento involontario dovuto alla predisposizione di vie nervose, e si differenzia dalla memoria psichica, i cui contenuti sono rievocati, selezionati e organizzati da una persistente attività volontaria. Il “senso del tempo”, su cui all’epoca si conducevano parecchie ricerche, è quindi “scandito” da regolari automatismi sul piano fisiologico e “congetturato” dalla riproduzione mnemonica sul piano psicologico.